diario da Port-au-Prince. internazionalismo, rivo-lu-zio-ne

Dopo una settimana a Port-au-Prince ho visto e sentito tante cose. Non me la sento ancora di buttare giù un buon diario, ma intanto voglio fissare alcune osservazioni.

Vorrei anticipare che oggi ho capito finalmente il significato profondo della parola internazionalismo. Oggi ho visto coi miei occhi cosa fanno i medici e gli operatori sanitari della Brigata medica internazionalista di Cuba.

E stride nella mia mente l’immediata comparazione che sorge naturale come un vibrione nell’acqua infetta. Comparo i medici cubani, che in mille stanno in questo paese devastato a soccorrere gli haitiani da un po’ tutte le sciagure che uno si possa immaginare, proveniendo da Cuba, che forse non tutti sanno che è un paese che non è nel G8, e che come affermano certi spagnoli è in crisi nera. I miei vicini di casa a Port-au-Prince invece lavorano in una sconosciuta ong tedesco canadese, che spende circa 10-15mila dollari al mese per mantenere un solo “cooperante” in una villa con piscina, giardino grande come un campo di calcio, guardie private, una schiera di cuoche, servi, maggiordomi, autisti, tricchettracche e bombe a mano. Loro aiutano i ciechi e gli handicappati.

Aiutano i ciechi loro. E vivono da nuovi coloni in un paese ridotto alla miseria più nera. E loro sono cooperanti. E si lamentano. E passano il tempo a spettegolare sulle altre ONG. Del resto è quello che fanno anche i cooperanti italiani, che devono spendere milioni di euro consegnati loro da milioni di italiani preoccupati per “i poveri negri colpiti dal terremoto” e in molti casi si trovano impreparati e pressoché inutili sul territorio haitiano. I soldi degli italiani, per come la vedo io, era meglio se se li mettevano al pizzo per comprare il panettone a natale.

Invece i cubani sono una macchina da guerra. Che con i soldi di questi stronzi tedesco canadesi ci manderebbero avanti un ospedale da campo in mezzo al campo. Ah, perché i cubani sono i soli, insieme agli altri “animali” di Medici Senza Frontiere, che raggiungono gli angoli più infognati e dimenticati da dio di questo paese coleroso e dimenticato da dio (chissà poi perché questo dio di Abramo ha deciso in maniera così arbitraria di accanirsi proprio su questo popolo e su questa terra non me lo so spiegare. io. non me lo so spiegare…).

Col loro zainetto, borraccia, sacco a pelo, tenda, sali e tabacchi i cubani sono pressoché inarrestabili, forti di una motivazione umanitaria e umanista che non ha pari.

Vengono educati a essere dei missionari laici dell’internazionalismo militante. E non è un modo di dire retorico. È esattamente quello che fanno. They mean it!! E bisogna vederli per capire come è commovente quello che fanno. E la cooperazione come business diventa una parodia. diventa una roba da fricchettoni o fighetti. Questi sono qui perché stanno costruendo il mondo migliore. Passano anni qua, senza tornare a casa, e senza avere un dio che li salva. È l’umanismo, il realismo, la passione politica. E ti fa commuovere davvero, circondati da cinismo e sufficienza.

Ecco. Volevo spendere due parole per Cuba e la sua idea umana e reale di rivoluzione. E so che molti storceranno il naso. Ma in finale sticazzi. Questo è il mio blog, e faccio come cazzo me pare.

¡Que viva la revolución!