diario da Città del Messico. nost-algia di ironia

KarolSabato pomeriggio a Città del Messico di fine agosto. Ieri era venerdì. Viernes de quincena. il venerdì in cui vengono pagati gli stipendi. Ogni quindici giorni è venerdì de quincena. E la città diventa l’incubo infernale. Diventa l’invivibile conglomerato di traffico, odio e follia di cui tanto si parla in giro.

Muoversi da un quartiere all’altro è un gesto di masochismo manifesto. Andare in banca è un azzardo sciocco. Rimanere bloccati per ore su qualsiasi arteria della città perché oggi milioni di persone ricevono soldi, e immediatamente corrono a spenderli. Si pagano bollette, debiti, affitti, si comprano regali, si fa la spesa, si esce a festeggiare. Tutti come un sol’uomo.

Rimango ore incastrato nel traffico parlando di politica col tassinaro di turno, che mi piglia pure per il culo, beh pure lei che si muove el viernes de quincena per attraversare la città non è proprio uno stratega. Un tassinaro mi dice che non sono proprio uno stratega. Il sottotesto dice sei un povero coglione.  Io abbozzo.

Volevo uscire perché a stare a casa in questi giorni mi sento un po’ in gabbia. Mi metto a leggere compulsivamente i giornali italiani e mi aumenta la gastrite. Mi sento mancare. Mi manco. Sento la mancanza dell’ironia. Dilagante.

Qualcuno leggendo il mio blog si è sentito offeso. Me lo ha manifestato. Io, basito, ho cercato di spiegare il taglio ironico delle mie parole. Ma è come cercare di piantare pomodori nel ghiaccio. O cercare di far uscire acqua da un pugno di sabbia.

C’è carenza di ironia. Qualcuno è disposto a donarla?

Leggo del gruppo di leghisti di Mirano (paese natale di mia madre!! such a shame!) che usando una vecchia elaborazione grafica satirica e ironica del GENIO Mauro Biani (vedasi link al suo sito sul lato destro di questo blog) hanno fondato un gruppo su feisbuc per incitare a torturare gli immigrati.

Leggo dell’inettitudine dei liders del piddì e della loro totale mancanza di ironia nell’elaborare una risposta a tale vicenda.

Mi mancano i miei fumetti di Andrea Pazienza. Ne ho bisogno. è quello che mi manca dell’Italia. O quello che manca all’Italia.  Che qualcuno me li mandi. Presto.

Mi metto a scrivere un altro romanzo, visto che il primo è andato a ruba.

p.s. Il sonno dell’ironia genera imbecilli

diario da Città del Messico. italiani ammazzati

El Santo VS el Huracán Ramírez
El Santo VS el Huracán Ramírez

Qualche giorno fa è stato ammazzato un italiano a Città del Messico. Su Repubblica esce un pezzo scritto evidentemente da un analfabeta, caratteristica sempre più comune tra i giornalisti (o sedicenti tali) nostrani. Questi i fatti. L’uomo, un sessantenne pensionato ex ferroviere del nord, a giudicare dal cognome veneto, trasferito in Messico da 5 anni, va con sua moglie su un autobus a pranzo da amici nel quartiere di Iztapalapa. Sul pesero c’è un gruppetto di quattro ragazzini quindicenni che pippano la colla. A un certo punto tirano fuori il pezzo e cominciano a rapinare ordinatamente i passeggeri dell’autobus. L’italiano si alza. Si oppone. Grida ai rapinatori che è armato. Per spaventarli. Quelli per tutta risposta gli piantano una pallottola in corpo perforandogli un polmone e lesionando il cuore. L’italiano tira le cuoia.

Il genio che scrive il pezzo su repubblica (tale Claudio Ernè), in un italiano sicuramente innovativo, esalta il coraggio del compatriota sperticandosi in complimenti ed elogi pacchiani, e indignandosi (quanto sono superiori quelli che si INDIGNANO…) con i giovani malavitosi messicani. L’Ernè ci informa che “Probabilmente i ragazzi-assassini erano sotto l’effetto di qualche droga, con buona approssimazione cocaina”. In genere i giovani criminali delle “baby gang” (come dice Ernè) di Città del Messico, con buona  approssimazione pippano la colla o il lucido da scarpe, se gli va di lusso. E non gli frega proprio un cazzo dei gesti eroici.

Ora. Io penso che questo evento, con buona pace del povero signor Furlan, si possa trovare a pagina tre del Manuale illustrato su come farsi sparare in faccia a Città del Messico. Come ti viene in mente, su un pesero a Iztapalapa, un po’ come il Bronx in versione messicana, di alzarti in piedi e reagire a una rapina fatta da regazzini pippati con una pistola? Non sei un eroe. Sei solo un coglione. E la punizione per i coglioni, un po’ a tutte le latitudini, è la morte violenta.

Mentre penso e scrivo queste cose mi sento un po’ colpevole. Dice, allora sei mejo te. Dice, si vabbè, quello ha reagito d’istinto e tu sei uno stronzo cinico senza pietà a dire certe cose. E magari è pure vero. Però quello che mi secca è che ci sia gente che non si rende proprio conto della realtà. Mi INDIGNO, ecco. Non so perché mi rode tanto il culo per questa cosa. Forse perché vorrei che gli italiani nel mondo fossero un po’ tutti come quelli delle barzellette: furbi, scaltri e paraculi. Dove l’italiano vince e con lui vince l’Italia intera. E se uno svizzero ti dice italiano-pizza-spaghetti-mandolino-mamma-losaichec’èèarrivatoilmerendero, tu non arrossire e non abbassare il capo.

Questo mi piacerebbe. Invece c’è gente che ama fare l’eroe in un paese dove agli eroi gli sparano in faccia.

Oggi però, nonostante tutto, sono felice. A causa di un improvviso capovolgimento di fronte della fortuna la mia vita sta prendendo un’ottima piega. Quindi ora esco, prendo un pesero e mi vado a fare una bella passeggiata a Iztapalapa. Così. Per sfidare la fortuna e vedere a che punto arriva. Occhio che sono armato.

p.s. La foto che pubblico oggi non è inerente al post. Sono le gesta del Santo, nel suo epico scontro con Huracán Ramírez.

diario da Città del Messico. Io sono El Santo.

el Enmascarado de plata
el Enmascarado de plata

La giornata di ieri poteva sembrare un qualsiasi venerdì a Città del Messico. Un venerdì barzotto direbbe qualcuno. Per esempio io.

Poi all’improvviso si fanno le 7 di sera e raggiungo Silvia e i suoi amici in una cantina del centro storico. Quattro chiacchiere e qualche tequila. Continua ad essere venerdì. Nove e mezza, Arena México per il rito della lucha libre nel suo tempio nazionalpopolare. C’è un amico francese di Silvia, Roman, entusiasta degli energumeni mascherati che ogni settimana affascinano grandi e piccini con uno spettacolo che i più non riescono ad apprezzare. C’è sempre qualche ottuso che commenta sì vabbè però si vede troppo che non fanno davvero a botte, cioè si capisce che è per finta. In questi casi purtroppo è difficile avere un’interazione civile. Ma tant’è.

Dunque finita la lucha ci buttiamo tra le bancarelle che vendono maschere, magliette, pupazzi e tutto ciò che può avere impressa la faccia enmascarada dei nostri eroi.

Ovviamente non resisto e mi compro la maschera del Santo.

Ora. Per chi non lo sapesse El Santo non è stato solo il più importante luchador, insieme a Blue Demon, della storia messicana. Esso è un eroe. Un’icona immortale. Un mito. In questo paese che idolatra divinità ed eroi mascherati El Santo è più o meno come Maradona per i napoletani, o come Elvis per… per i fanatici di Elvis.

A partire dagli anni cinquanta El Santo, conosciuto anche come el enmascarado de plata, comincia a diventare un eroe grazie a fumetti e film che lo hanno come protagonista. In tutta la sua carriera nessuno è mai riuscito a togliergli la maschera in combattimento, nessuno lo ha mai visto in faccia. Da qui è nata la leggenda per cui il giorno in cui gli fosse stata tolta la maschera sarebbe morto. Nel 1984 el Enmascarado de plata partecipa a un programma televisivo e il presentatore riesce nell’impresa. Gli fa mostrare al pubblico un pezzetto della faccia. Dopo una settimana muore di infarto. E il mito prosegue e si ingrossa. Si dice che sia stato sepolto con la sua maschera d’argento.

Ieri sera mi presento con i miei amici in un locale della colonia Roma. Prima di entrare, per gioco, indosso la sacra maschera del Santo. Entro.

Da qui la serata cambia. Inaspettatamente tutto il locale esplode in grida e applausi. Dopo 30 secondi sono il re della serata. La follia. Gente che grida SantoSantoSantoSanto mi fanno ballare in mezzo a cerchi vertiginosi. Mi offrono da bere. Tutte le ragazze del locale vogliono ballare con me. Anzi non con me. Con El Santo. I loro fidanzati mi chiedono se posso farmi delle foto con loro. All’improvviso vengo preso per le gambe e sollevato come la coppa dei campioni. Sono stravolto. Non riesco a credere a quello che mi succede. Duecento persone impazzite che coinvolgono uno sconosciuto in modo forsennato peché indossa la mascara de plata. Mi fanno salire su uno sgabello e mi costringono a ballare. Per tutto il tempo in cui rimango nel locale gran pacche sulle spalle, sorrisi, abbracci commossi.

Io non posso più togliermi la maschera. Non sono più io. Non riguarda più me. In questo momento io presto il mio corpo allo spirito del Santo. E ho il dovere di onorare la maschera che indosso di fronte a tutta questa gente che la rispetta e la venera. Per un momento ho capito come deve sentirsi Francesco Totti quando entra in una trattoria di Testaccio. Per poche ore ho sentito nel mio corpo la concretezza dell’amore di un popolo verso un suo eroe. Un eroe mascherato. Un giustiziere. Un’icona positiva. Popolare.

Uscito dal locale, solo dietro l’angolo tolgo la maschera per prendere aria e un taxi. Per qualche istante temo che anch’io possa morire facendo quel gesto. Ma non accade. Evidentemente.

Probabilmente questa è l’esperienza più surreale che mi sia successa a Città del Surrealismo.

Che lo spirito di Rodolfo Guzmán, conosciuto come El Santo, ci protegga tutti.

diario da Città del Messico

que viva méxico
que viva méxico

Il fatto è che vivo in attesa. Non ho capito bene di cosa ma finalmente ho capito che sono in attesa. Prima dei mesi. Ora dei giorni. Il segreto sta nel riuscire a mettere qualcosa di interessante nell’intercapedine di questa attesa. Quindi un giorno attendo la scadenza per la consegna di un articolo agli ostinati brasiliani che continuano a farmi lavorare e riempio il tempo che mi separa dall’evento di lavoro e altre attività riempienti. Un giorno attendo la serata organizzata da qualche amico, tipo stasera che c’è un seratone. E riempio il tempo che mi separa da questi momenti topici.

Oggi me so svejato così. Riflettendo sul senso della vita. dev’essere il panino che mi so mangiato ieri sera che m’è risultato pesante. Ci pensavo anche perché due sere fa ho rischiato di essere ucciso da un coglione che guidando ubriaco si è incollato tre macchine e una colonnina corinzia andando lungo su una curva. E si è incastonato alle macchine parcheggiate a pochi metri da me impietrito. Il capitello corinzio mi ha salvato. E sinceratomi che i tre imbecilli ubriachi nella macchina non fossero morti o gravemente feriti me ne sono andato osservando come loro, non paghi del botto clamoroso, cercavano di andarsene in retromarcia ridendo.

E mi è venuto in mente il discorso di Edward J. Olmos dell’industria messicana, alias il neonazi dell’aereo. E ho capito cosa intendeva. E con sommo stupore ho realizzato che io penso le stesse cose. Solo che mi disturba che si citi il nazismo. Ma la maggior parte di noi è composta da teste di cazzo autodistruttive per la razza umana. Capito questo mi sono tranquillizzato. Dovrò imparare il tedesco comunque. Così. Non si sa mai.

Dunque attendo e riempio intercapedini. L’altro ieri vedevo la partita di calcio Messico Stati Uniti, valida per la qualificazione al mondiale. Vado col Cachorro a casa di un amico, il Chucho. Stanza piena di gente e di fumo e di birra e di cubalibre e di patatine. Classica partita di calcio a casa di amici. Per i messicani il calcio è uno dei pochi campi in cui da sempre possono dimostrare ai gringos che sono meglio di loro. E farlo davanti al mondo. Non che la selección sia uno squadrone, però oggettivamente nella storia del calcio gli USA non valgono un cazzo.

Dunque tutti pronti a tifare Messico e umiliare i gringos, che però ultimamente stanno rivalutando il calcio e investendo. E la loro nazionale non è più così male.

In mattinata mi chiamano i brasiliani e mi dicono, amico tu guadagnerai del denaro, dei dollari americani per la precisione, scrivendo un pezzo di calcio sulla partita, ma solo se gli USA battono il Messico, solo se l’uomo morde il cane. Io, ok da paura mi sembra perfetto amici del Brasile, ma sappiate che il Messico non perderà mai in casa contro i fottuti imperialisti yanqui.

Il mio spirito al calcio di inizio è ambivalente. Tifare USA è contro i miei principi, ma anche morire di fame è contro i miei principi. Inoltre mi hanno affibbiato il soprannome di zopilote in Honduras, causa la mia mancanza di scrupoli (zopilote vuol dire avvoltoio). Dunque preso da una forte dissonanza cognitiva non so per chi tifare e attacco a mangiare patatine piccanti compulsivamente, a servirmi abbondanti dosi di cubalibre e a puntare una bella moretta seduta vicino a me. Così, giusto per non venire divorato dall’angoscia di non sapere per chi fare il tifo.

Per fortuna la banda di cazzoni con cui mi accompagno riesce a coinvolgermi e finisco per fare ciò che era naturale fare, insultare gli imperialisti yanqui per 90 minuti. Col veleno. Bavosi.

Messico – USA 2-1. Ho perso dei dollari americani sonanti ma me ne fotto. In compenso sono brillo, non devo lavorare per oggi, mi sganascio sparando cazzate con una bola de pendejos e mi accompagno a una bella moretta. Direi che per oggi tutto sommato il risultato sia: zopilote – attesa 1-0.

diario da Città del Messico

schutzstaffel
schutzstaffel

Apro gli occhi sul soffitto bianco rugoso. Notte brava ieri sera: karaoke!

Amo il karaoke. La gente si scatena su una pista tirando fuori il peggio di sé e cantando il peggio della musica mondiale, ovunque ci si trovi. Io sto in Messico, quindi si cantano i capolavori di Luís Miguel, Elvis Crespo, e altri autori di cui è vietato fare il nome su questo blog per la violenta censura che lo governa.

Prima di questo: un concerto su avenida Insurgentes in un locale che si chiama New York. Io e Cachorro a vedere i Plastilina Mosh. Un gruppo di Monterrey, che è la città più ricca del paese, la Milano messicana, comprensiva di stronzaggine milanese. Non ho capito se mi piacciono i Plastilina Mosh. Sicuramente sono un po’ delle scimmie che rifanno troppo il verso a troppa gente, tipo i CafeTacvba. Poi sono di Monterrey. L’ultimo contatto che ho avuto con gente di Monterrey è stato qualche settimana fa.

Sul piccolo velivolo di Aeroméxico che mi avrebbe portato dal DF a Managua mi siedo accanto a un omone con la faccia di cartapesta. Sembra il comandante Adamo di Battlestar Galactica (e se non sapete cos’è Battlestar Galactica, fuori dal mio blog!).

Comincia a attaccare bottone su temi insignificanti. È alto. Indossa vestiti molto costosi, gemelli ai polsini, orologio d’oro. Sarà sulla sessantina e legge il Washington Post.

Sto andando a Managua a parlare col ministro dei trasporti per concordare con lui la possibilità di costruire delle strade in tutto il paese, mi dice.

L’omone è un industriale. Che viaggia in centroamerica contrattato dai governi, per contribuire allo sviluppo di quei paesi. Lui mi parla dei suoi figli, che ha educato con rigore e rettitudine, coi sani valori tradizionali. Mi chiede dell’Honduras. Io rispondo che in democrazia certe cose non si dovrebbero proprio fare, tipo dei colpi di stato militari.

Il regiomontano (che sarebbe come si dice uno che è di Monterrey) mi fissa. Dietro di lui c’è l’oblo con la tendina aperta e un fascio di luce mi acceca. Tu sei molto giovane, mi dice, non sapendo quanto mi stanno sul cazzo quelli che per argomentare le cazzate immonde che stanno per sparare premettono una supposta superiorità dovuta a ragioni anagrafiche. Sei molto giovane e non capisci che non tutti sono pronti per la democrazia.

Ecco. Adesso sorprendimi. E lui lo fa.

Vedi, prosegue il saggio vegliardo miliardario, Adolf Hitler (!!!) diceva una cosa interessante. Magari a te non piace Hitler (ma che ne sai. io lo amo quel figliodiputtana. è il mio mito!) e nemmeno a me, però ha detto delle cose interessanti (probabilmente la maggior parte nel privato della sua cameretta). Diceva che le persone non sono tutte uguali (un modo per dirlo, in effetti), e i migliori sono una minoranza. E la democrazia è il governo della maggioranza, cioè dei peggiori. E quindi la democrazia è una grande ingiustizia perché i migliori, pochi, sono governati dai peggiori, molti.

Lo guardo ammirato senza riuscire a proferire parola. Lui prosegue il suo delirio vaticinando della disciplina nel football americano comparata con l’anarchia nel calcio, ma io ormai ho perso il filo e mi immagino di marciare per le strade di Managua vestito da ufficiale della Schutzstaffel spiegando che purtroppo loro non erano pronti per la democrazia, anzi, il loro prendersela costantemente in culo era un segno della giustizia di dio.

La versione messicana del comandante Adamo mi augura buon viaggio, mi da il suo biglietto da visita e mi offre anche un passaggio sulla sua auto ministeriale. Io declino con garbo e mi tuffo nel caldo orrido di Managua e dei suoi taxi collettivi (perché a Managua se sali su un taxi non è tutto per te. Se il tassinaro riesce a caricarlo di gente diventa tipo un microbus).

Il concerto dei Plastilina Mosh ci rompe il cazzo dopo mezz’ora. Sono autoindulgenti e non hanno nulla di nuovo. Per questo la nostra meta diventa il karaoke, dove scaricare la nostra frustrazione (ognuno c’ha la sua) e dare sfogo ai nostri istinti più bassi. Sempre meglio così che esportando il nazismo in centroamerica.

diario da Città del Messico

Xochimilco
Xochimilco

Un po’ di silenzio per qualche giorno. È che magari uno si prende una pausa. Del resto passare dalle emozionanti avventure golpiste centroamericane alla routine messicana è un po’ come una pizza in faccia (per i lettori non romani una pizza non è in senso stretto. vuol dire schiaffo).

La città mi ha accolto indifferente come fa con tutti. Come se in fondo quello che succede fuori dal Mostro non fosse proprio vero. Come se la vita scorresse solo nelle arterie di cemento che lo attravesano.

In realtà passare dall’azione alla riflessione dovrebbe atterrirmi. Probabilmente accadrà. Ma non so perché fare il precario in Messico e vivere giorno per giorno mette meno ansia che in Italia. Deve essere per gli effetti psicotropi dell’inquinamento atmosferico sulle ghiandole che producono l’ansia. O sarà perché qua è molto più facile pensare a un piano B, tipo fare il taxista o il lavapiatti.

Non scrivo da qualche giorno anche perché ho un po’ paura che dopo il mese di golpe i miei post risultino noiosi e barzotti, senza il vigore del racconto in presa diretta.

Invece inaspettatamente ad aiutarmi a spremere sto limone ci pensa il semprevalido baffone. Stasera è arrivato in Messico il presidente dell’Honduras Mel Zelaya, quello che mi è toccato tallonare per un mese. Invece ora mi segue lui. Gli mancavo, perché. Giunge al messico per parlare con quel paladino della democrazia che si chiama Felipe Caldero. Che pare sia il presidente del Messico. Cioè praticamente è un po’ come se il presidente dell’Albania, cacciato dal suo paese dopo un colpo di stato, venisse a prendere lezioni di democrazia e a farsi difendere da Silvio Berlusconi. È evidente che lo scenario è piuttosto surreale, tanto per fare una cosa nuova.

E i messicani, quelli che seguono le vicende internazionali, quindi principalmente un gruppetto esiguo di “intellettuali” che senza alcun motivo pensano davvero di contare qualcosa nella storia dell’umanità, gongolano per questo riconoscimento.

Io di fronte a questo preferisco andare a passare i miei pomeriggi a bere con gli amici su una chiatta (che qua si chiama trajinera) a Xochimilco. Xochimilco è quella parte di Città del Messico che si sviluppa sull’acqua. Qui una volta, prima che gli spagnoli venissero a tirare fuori questi incivili dalla barbarie, c’era una città sull’acqua. Tenochtitlán si chiamava. Tutta la valle si sviluppava sull’acqua come Venezia degli aztechi. E Xochimilco è quello che resta di questo.

E la gente ci va la domenica. Su delle chiatte con una tavolata al centro. Si porta da beve, da magnà e un gondoliere messicano ti scarrozza in giro. Poi si viene abbordati da altre chiattine (perché quella su cui viaggi te è na chiattona) che ti offrono beni di prima necessità come pannocchie arroste (elote), mele caramellate, patatine, bibite, tricchettracche e bombe a mano. Oh, poi c’è la chiatta dei mariachi, che ti insegue nei meandri più reconditi della laguna e sbuca all’improvviso cantando cielito lindo.

Tutto molto bello e colorato. E tanto per cambiare se beve per interminabili ore.

Poi c’è unisoletta dove un pazzo 40 anni fa ha deciso di cominciare ad appendere agli alberi bambole e pupazzi di ogni tipo. E ora sono migliaia. Macabro monito alle sirene, ai fantasmi e ai mostri di ogni tipo che popolano la laguna di Xochimilco. Il vecchio pazzo ha addobbato tutti i pertugi dell’isoletta perché sentiva tutte le notti la voce del fantasma di una giovine morta li vicino anni prima.

Dopo un mese ho rivisto Vittorio, il toro di cartapesta che dorme con me. Ha fatto finta di non riconoscermi. Si è sentito abbandonato. Ha provato a farmi sentire in colpa. Per punizione l’ho chiuso due giorni al buio in uno stanzino. Mi sta crescendo il pelo sullo stomaco e questi atteggiamenti stucchevoli non li reggo più.