E dunque inizia lo show. Gente che si lancia dal treno in corsa, nel buio della sera. Ombre che saltano verso l’ombra. Le grida, da terra, si fanno più vicine, finché il treno si ferma del tutto. La prima cosa che facciamo è buttarci a pancia sotto sul tetto del treno, hai visto mai che parta qualche proiettile e decida di piantarsi in mezzo alla fronte dei valorosi giornalisti frilènz. Le voci degli uomini incappucciati dicono cose tipo “figli di puttana scendete da quel cazzo di treno o vi ammazziamo tutti” e amenità simili.
Non si vede un cazzo a parte i lampi di luce sparati dalle torce dei nostri nuovi amici. Il paese è un po’ distante. Sul treno non c’è quasi più nessuno, tranne noi e un povero migrante ubriaco rimasto tramortito dall’alcol ingurgitato nelle ore di attesa ad Arriaga e steso bocconi a pochi metri da noi.
Sul tetto del treno si arrampicano un paio di incappucciati. Ora da vicino si riconosce la divisa. Si tratta della Polizia Federale. Da vicino vuol dire che uno degli agenti mascherati è salito sul nostro vagone e ora mentre noi mostriamo alla luce della sua potente torcia le nostre identificazioni di giornalisti, lui ci punta in faccia un M16, quei fucili ad alto potenziale che vanno tanto di moda da queste parti. E daje de insulti e minacce di morte. Noi, solidi sulle nostre posizioni non cediamo di un passo, puntando tutto sul fatto che evidentemente deve trattarsi di un’arma giocattolo e presto l’agente ci dirà che è tutto uno scherzo.
Nel frattempo di sotto hanno fermato un centinaio di nostri compagni di viaggio. Li hanno stesi su quattro file faccia a terra. Per essere più convincenti i trenta federali spintonano, alzano la voce, le mani, schiacciano le facce della gente nella polvere del suolo con i loro anfibi ben lucidati. Noi ora decidiamo che abbiamo fatto capire le nostre ragioni e allora possiamo anche acconsentire e scendere da questo treno.
A terra non c’è nessun rappresentante dell’ufficio migrazione. Il che rende automaticamente illegale questa operazione dei federali. Altro elemento che la rende illegale è il fatto che questi amabili tutori dell’ordine sparano un po’ per aria, cosa proibita. Ah e altra cosa che forse rende illegale l’operazione è il fatto che si mettono a rubare soldi ai migranti. Tutto quello che hanno. Sistematicamente, per poi lasciarli andare nella notte, in balia dei violentatori e assassini che si nascondono nel buio.
I migranti che rimangono in arresto sono quelli che, sfigati, non avevano una lira addosso. Sono 47, e verranno trasferiti, un’ora e mezza dopo, negli uffici di migrazione, da dove verranno rimpatriati nelle loro case di fango in centroamerica.
Noi siamo testimoni di questa messa in scena. Ci provano a minacciarci, a intimidirci, ma noi con l’aplomb che ci contraddistingue e forti del fatto che siamo europei e giornalisti e soprattutto bellocci, non ci scomponiamo.
Loro lo capiscono e dopo una mezz’ora di minacce decidono che non possono nulla contro la libertà di stampa e desistono.
Quello che ti resta addosso, piantato nel petto è la sensazione chiara di impotenza di fronte a un abuso. La normalità della logica del più forte, tanto comune e tanto opprimente.
Qualcuno dei coraggiosi e folli viaggiatori arriverà a realizzare quel sogno, costruire le case dei ricchi in California, in Oregon, in Carolina del Nord. Dimenticherà le difficoltà o ne farà tesoro. Ma ne arriveranno altri, ognuno dei migranti porta con sé la vita di tutti quelli che lo hanno preceduto e che lo seguiranno. Ogni presente di ogni migrante è la ripetizione di una storia fatta di miseria, orrore e sogni, e di attraversamento di frontiere.