diario da Città del Messico. ti spacco il quorum

Mancano poche ore alla chiusura dei seggi elettorali. Secondo le informazioni a mia disposizione, in piena notte in Messico, a quanto pare il Referendum sull’acqua, il nucleare e il legittimo impedimento sta andando a buon fine, e tutti quei democratici che hanno incitato all’astensionismo pare stiano per prendersi una batosta memorabile, un ceffone scagliato da 25milioni di italiani e spicci.
Io sono italiano all’estero. Me ne sono fatto una ragione. Risiedo nel paese del narcotraffico e delle stragi per scelta e per necessità, sono regolarmente iscritto all’AIRE (Associazione Italiani Residenti all’Estero) e ammetto che è stata forte l’emozione quando mi sono visto recapitare a casa le schede elettorali per il Referendum.
Certo, visto che non abito in Spagna o in Francia, dove le schede sono arrivate il 25 maggio, ho ricevuto il plico con le istruzioni il 7 giugno. Data ultima di consegna al corriere: 8 giugno. Me sarà venuto un po’ il dubbio che non c’avessero tutta `sta voglia di farmi votare… Soprattutto dopo il flash mob come si chiama adesso, all’ambasciata italiana in Messico durante la festa del 2 giugno, quando insieme ad un gruppo di arditi abbiamo avuto la sovversiva idea di sparigliare la festa imbellettata e incartapecorita della comunità di italiani in Messico, organizzata dall’ambasciatore Spinelli (che da buon patriota non ha speso nemmeno mezza parola per ricordare ai cittadini come poter adempiere al loro diritto di voto) indossando magliette che dicevano IO VOTO SÌ e srotolando uno striscione di sensibilizzazione tra le coppe di champagne e le tartine.
Forse il mio voto non ci è nemmeno arrivato al Consolato italiano, dove ti trattano sempre come il Marchese del Grillo trattava i questuanti sotto la sua finestra, ma io ho pensato, beh, che bello sapere che io ho gli stessi diritti di tutti quanti gli altri.
Col cazzo! Mi pareva troppo bello, emozionante, irreale potermi esprimere come un cittadino di un qualsiasi paese europeo su temi così rilevanti, attraverso banali procedure amministrative standard. No, perché invece mi sono subito dovuto scontrare con l’essere italiano. E non solo italiano. Pure più stronzo degli altri, perché abito in Messico (all’estero, in generale) e quindi tutti i soldi delle tasse di tutti noi, che vengono investiti per organizzare banchetti nelle sedi consolari, che rappresentano il nostro principale ostacolo a una vita normale, non possono essere investiti nel buon funzionamento democratico.
Il mio voto, come quello di altri 3,2 milioni circa di italiani all’estero, nella migliore delle ipotesi non verrà conteggiato per il quorum. Nella peggiore verrà conteggiato ma non varrà un cazzo, perché ci hanno sottoposto un quesito, stampato a maggio, che il 2 giugno è cambiato, senza poter ristampare le nostre schede elettorali.
Allora uno dice, vabbè, ma chissene frega di Federico Mastrogiovanni, che sta a mangiare tortillas in Messico. E in effetti non fa una piega. Il problema è che siamo più di TRE MILIONI di stronzi sparsi per il mondo (in molti casi perché in Italia si respira un’aria così pesante che uno preferisce emigrare nel paese dove ammazzano 40mila persone in 4 anni mozzando teste e appiccicandogli narco-messaggi ai testicoli piuttosto che stare nella fogna italiana). Tre milioni di voti, che se non vado errato, e facendo i conti con la sega a nastro (perché qua so sempre le sei di mattina), sui 47 milioni di aventi diritto, rappresentano il 6%. IL SEI PER CENTO CAZZO!
Ora, non so se è chiaro che il sei per cento è un botto di gente, trattata letteralmente a merda in faccia. Già viviamo spesso in situazioni di precarietà, come del resto tutti gli italiani, in più lontani da famiglie anche svariate decine di migliaia di chilometri, senza la mozzarella, senza l’olio, senza il salame, senza poter vedere la Roma allo stadio. Oltre a tutti questi inconvenienti logistici ci manca pure qualche testa di cazzo (non meglio identificata peraltro) che rende nullo il voto del sei per cento degli aventi diritto. Mi pare che la questione, a prescindere dall’esito del voto, che spero dia un bel calcio nel culo (virtuale e democratico) a una buona quantità di persone, sia di una certa rilevanza.
Lasciamo stare l’ovvia l’indignazione personale e il fatto che manco in Messico, paese che se ci fosse una gara di corrotti arriverebbe secondo, per aver pagato i giudici, succedono cose del genere. Io vorrei solo sapere con chi me la devo prendere, per andare a citofonargli sotto casa e chiedere spiegazioni. Perché l’unica risposta a questo atteggiamento da democrazia “a cazzo di cane” è alzare il culo e farsi sentire.
Nelle prossime ore spero di godermi con un bel bicchiere di tequila la vittoria al Referendum che è anche mia!

diario da Città del Messico. benvenuti a sti frocioni

– Pronto buongiorno, chiamo dal Messico, dovrei fare l’esame all’ordine, mi hanno detto luglio, vorrei sapere una data precisa, devo fare il biglietto apposta.

– Ah però no, guardi una data precisa nun glie la posso dare.

– Come? Non ho capito. Scusi, ho fatto domanda sei mesi fa, è l’8 giugno.

– Eh, vabbè però noi gli esami li facciamo settimanalmente. A seconda degli impegni del presidente.

– Non ha capito, io devo comprare il biglietto dell’aereo apposta. Sono 10mila chilometri.

– Ho capito. Senta guardi lei faccia ‘na cosa. Fa sto bijetto, ariva a Roma e quanno ariva a Roma me fa na telefonata e vediamo si se po’ fissà st’appuntamento.

– Che però non è sicuro.

– Ennò. Si magari viene a settembre capace che è più facile. Dica un po’ come se chiama?

– Eulalio. Eulalio Caroddi.

– Eh Eulalio. Bravo. Sta qua.

– Lo so…

– SìSì. Ha fatto domanda a febbraio. È venuto su padre a portare tutti i documenti. Me ricordo. Ecco Guarda Eulà, fai ‘na cosa. Te vieni a Roma, tanto ce dovrai passà ogni tanto da Roma no? Ecco te quando arivi fai ‘na telefonta e vedemo si se po’ fa o no l’esame.

 

Dov’è che volevamo annà noi? dice il futuro dell’Italia… ecco.