Diario da Città del Messico. Una breve parentesi.

Uno si alza e legge Repubblica. Alle volte. Così, per vedere un po’ che si dice. A pagina 40 una doppia dal titolo “Bollito: i nuovi tecno trucchi del vero slow food”, una imprescindibile disamina sul bollito in tutte le sue forme e varianti. Segue a pagina 42 una doppia decisamente di più alto profilo: “Piumini” le tendenze dell’inverno.
Questo accadeva ieri. Oggi invece si può apprezzare in prima pagina l’accorata lettera de Pier Luigi Celli, che manifesta il suo dolore e la sua amarezza verso il futuro dei giovani italiani, e consiglia suo figlio di andarsene dall’Italia, però a malincuore.

Pier Luigi Celli, ha proprio ragione, cazzo. Uno come lui, che è direttore generale della Luiss, lo è stato della Rai, consigli d’amministrazione vari, Eni, Enel, Unicredit, Wind, se uno così dice al figlio che se ne deve sfanculare, perché l’Italia è un paese dove il merito e i sani valori non sono premiati, bisogna crederci.

All’inizio ho reagito in maniera scomposta a questa lettera. E al fatto che un giornale come Repubblica avesse la faccia tosta di pubblicarla in prima pagina. Perché, mi dicevo, è offensivo, è ridicolo, è grottesco che uno così, che ha contribuito e contribuisce allo schifo di questo paese di merda, dove grazie a dio non vivo più, venga anche a dare lezioni e a piagnucolare, in faccia ai milioni di stronzi che non sono direttori della Luiss (dai calabresi che la frequentano anche conosciuta come Liuiss, perché pensano che sia inglese, come Lewis) e che non possono garantire al figlio di andare a studiare ad Harvard.

Poi però ho sinceramente apprezzato la preoccupazione di un padre, che vede un giovane figlio costretto a confrontarsi con un paese mafioso e marcio grazie anche a quelli come lui e preferisce farlo essere vincente all’estero. Prima sfascio tutto, cago sul tavolo, stupro, divento re, ammazzo e nascondo, e poi invece di pulire, dico a mio figlio, fai na cosa, vattene all’estero che qua è na monnezza, lasciamola agli stronzi. Perché la lettera è estremamente cinica. Non dice mi dispiace. Non è diretta ai figli degli italiani. No. è diretta proprio solo a suo figlio. E denigra gli altri. Dice, figlio, ti dico pubblicamente che qua è una merda grazie a papà tuo e ai colleghi e amici de papà tuo. Per cui TU alza il culo e vai a studiare alle università fighette americane, mica come la merda che dirigo io, che costa un pacco di soldi e ti assicura solo di socializzare coi calabresi.

È una lettera onesta. Realista.

Quindi tra un “percorso dei risotti” e uno “speciale scarpe” le pagine di Repubblica offrono esempi di grande giornalismo e analisi sociale. Sono proprio felice di essere incappato in questa lettera che mi ha chiarito, una volta di più e se ce ne dovesse ancora essere bisogno, i motivi del mio espatrio. Magari Mattia Celli, il giovane virgulto, verrà da ste parti, dije de venì qua, Pier Luigi, che lo accudisco io il tuo pupo.

Il toro già si liscia le corna.

diario da Città del Messico. Ermita o dell’uomo dell’ascensore

Iztapalapa ha scombussolato un po’ le vicende di un emigrante. Sono passate le settimane, la città continua a macinare i giorni e io mi assesto.

È di notte che entro nell’edificio Ermita, su Avenida Revolución. Uno degli edifici più belli del Distrito Federal. Un palazzo di architettura premoderna disegnato dall’architetto Juan Segura nel 1929. Entrarci dentro equivale a venire scaraventati in un’altra epoca, quella della belle époque messicana. un ampio portone di metallo, il palazzo bianco. Imponente e ironico. Ma di notte questo non si nota molto. Ma poi una volta dentro. Un ascensore aspetta al pian terreno. Dentro l’ascensore un uomo. Con gli occhiali quadrati e la barba di una settimana. L’addetto all’ascensore. C’è una sedia a sdraio nell’ascensore. la manovella che viene manovrata per far muovere il montacarichi d’epoca. Appesa alla manovella una radiolina che mantiene sveglio l’anziano guardiano. Sopra la sua testa, sopra la tastiera dei bottoni, un altarino della vergine di Guadalupe, con due candele accese.

L’uomo è il guardiano dell’ascensore. Lui vive lì. Il suo lavoro consiste nel trasportare la gente da un piano all’altro, aprire le porte meccaniche, e garantire che il vecchio ascensore si mantenga funzionante.

Io sono sconvolto, ammirato, perplesso. Un uomo vive in un ascensore d’epoca, in un palazzo d’epoca, con la sua radio, la sua Virgen, le parole crociate. L’uomo bofonchia. Si addorme in piedi. Passa il piano dove devo scendere. Torna indietro con la manovella.

Sono giorni di riflessione. Di pace. Di cose semplici. Come far muovere un vecchio ascensore. Come mangiare una pizza con gli amici. È ritrovare il tempo umano e il ritmo adatto nella città del caos. Ci ho messo mesi, e ora sto prendendo il ritmo. Fin qui tutto bene.

E questo è tutto.

diario da Iztapalapa. benvenuti in Afghanistan

Iztapalapa - AfghanistanAllora decido che voglio fare un giro panoramico per la famosa Iztapalapa. Cristo ne parlano tutti, tocca che vado a farci un salto. Dice, no ma sei pazzo so tutti criminali, te spanzano, te rapinano, te fanno a pezzi a Iztapalapa. Dico vabbè dai però io so giornalista ce devo annà se no che cazzo ce sto a fa qua nel famoso Messico?
Dice vabbè allora fai come cazzo ti pare, però poi non lamentarti se fai una bruttissima fine violenta e feroce.

Vabbè allora vado. Mi accompagna nella terra di nessuno un’amica che lavora da quelle parti. Mi passa a prendere la mattina presto e mi spiega in macchina nel tragitto un po’ di cose su Iztapalapa. Io un po’ perché non sono proprio abituato a svegliarmi così presto, un po’ perché l’amica in questione è decisamente una fata, non capisco un cazzo di quello che dice e mi limito ad assentire inebetito.

Giunti sul luogo però sono pervaso dalla tranquillita. Quella tipica degli ottusi.

Accompagnato dalla jefa della delegazione (la sindachessa) faccio un tour nei quartieri alti di questo barrio di due milioni di abitanti. Un posto davvero ameno. Il colore predominante è il grigio. Un bel grigio abusivismo. Di fatto tutta la zona è abusiva. Un quartiere grande come l’Avana fatto di case abusive di cemento ammucchiate tra pianura e montagna. La prima cosa che mi dice un ragazzetto di fronte al mio sguardo basito è ti piace Iztapalapa, guero? Benvenuto in Afghanistan!

C’è una signora che racconta che qui ti rapinano ogni tre per due. Gli sbirri invece di lavorare fanno le ammucchiate con le troie dentro la centrale di polizia, gli spacciatori fanno affari d’oro. Poi se ti rubano la macchina in qualsiasi parte della città dopo mezz’ora puoi venire a ricomprarla a pezzi qui.

In compenso l’acqua arriva una volta alla settimana ed è marrone, la gran parte della gente non ha manco il telefono e i ragazzini passano le giornate a farsi di crack.

per uscire dalle zone alte ci vogliono due ore perché i microbus non passano e a piedi è un po’ come andare da Genzano a San Giovanni. Solo che a ogni angolo rischi di farti sparare da un rapinatore strafatto.

Qui però c’è gente che comincia a farsi rodere il culo. si stanno organizzando per scendere dalla montagna e fare un po’ di casino. E considerato che non hanno un cazzo da perdere è verosimile che la situazione si faccia interessante. Da ste parti si dice “En México no pasa nada hasta que pasa. Y cuando pasa…”

Vuol dire che in Messico non succede un cazzo, finché non succede. Ma quando succede sono cazzi amari.

Finisco il tour in casa di una signora che ci offre un tè che sa di paglia. Torno al mio quartiere stordito. Il toro vuole sapere tutto ma io sono stanco e non riesco nemmeno a picchiarlo a sangue. Ho appuntamento domani con un trafficante di corna che ho conosciuto a Iztapalapa. Se lo viene a prendere domani alle 7. Se tutto va bene alle 7.30 si può andare a ricomprarlo a pezzi da quelle parti.

 

diario da Città del Messico. dia de muertos

jesus malverdeDomani è il due novembre. Il giorno dei morti. Qua invece si chiama dia de muertos. Che poi tradotto è giorno dei morti.
È una festa importantissima. Popolare. In ogni parte della città si armano altari per celebrare i morti e la morte stessa, e ricordare che pure per i vivi è solo questione di tempo. E allora daje coll’addobbi floreali, offerte in frutta, dolci, sacrifici umani e vestiti da strega.

Mi reco a fare spese al famoso mercato di Sonora con un gruppetto di amici, per andare a fare un bagno di popolo. Il mercato è famoso se uno vuole comprare qualsiasi cosa riguardi da vicino o da lontano la brujeria, la stregoneria, questo è proprio il posto giusto. Io volevo comprare una gallina nera da sgozzare su un altare tra incensi in onore della santa morte, giusto per ricevere in cambio un po’ di fortuna, di denaro e di amore. Le solite cose.

Vago per i meandri del mercato che scoppia di gente. Intere famiglie che vengono a fare le ultime spese prima della festa, a comprare gli ultimi costumi, i dolci, le candele.

Mi fermo in un banco di filtri e pozioni. La padrona mi accoglie con un grande sorriso. Ti preparo un filtro d’amore? un amuleto? un olio miracoloso?

Grazie, guardi, avrei bisogno di un amuleto. Sa, per avere fortuna, soldi, amore. Sì ho proprio quello che fa per te. Devi solo scrivermi il tuo nome su un foglietto. Mi dici la tua data di nascita. Poi ti faccio un bell’amuleto e vedrai che ti cambia la vita.

Io eseguo. È così cordiale che manco mi sembra una bruja. La osservo mettere denti, pietruzze, pezzi di pelo di giaguaro, polveri, legnetti e altre diavolerie dentro una saccoccetta gialla. poi la chiude. Me la devo portare sempre in giro. Poi se si dovesse rompere o rovinare la devo bruciare. E tornare da lei.

Le allungo i 100 pesos e già mi sento più fortunato. Già ho l’impressione che pioveranno sulla mia vita migliaia di soldi. Già percepisco un cambiamento nel mio sex appeal. È come se tutte le donne desiderassero ardentemente possedermi carnalmente. E amarmi. Cazzo se funziona sto amuleto.

A fine giornata sono spossato e felice per aver dato una svolta radicale alla mia vita. In più la signora bruja mi ha regalato un porta chiavi con due immagini di santi. La vergine di Guadalupe è una. e dietro all’immagine un pezzetto di pelliccetta di qualche strano animale sintetico. L’altra immagine è Jesus Malverde. Jesus Malverde è un santo dei narcos. Una spece di Robin Hood narcotrafficante, mi spiega la bruja, che rubava un botto ai ricchi per darne un po’ ai poveri. E poi i poveri l’hanno voluto come santo. Con questi santini sarò superpotente e nessuno potrà farmi del male.

Cazzo, praticamente sono superinvincibile. Mi manca solo invisibilità e volare e spacco davvero il culo a chiunque.

Vittorio percepisce la mia potenza e intimorito si chiude da solo nell’armadio. Io intanto preparo l’altare su cui sacrificarlo alla santa muerte, visto che non sono riuscito a trovare la gallina nera.