Sparatoria a Palazzo Chigi: le responsabilità degli invertebrati

Governo+Letta+giuramento+-+NonleggerloUn uomo disperato. Non un “pazzo”, come si affrettano a definirlo, denigrandolo, i giornali asserviti. Un uomo disperato come tanti italiani, che non sanno più cosa fare, all’interno delle regole e delle leggi democratiche, per manifestare la disperazione e l’impotenza e la frustrazione di fronte a una classe dirigente sprezzante delle necessità e delle istanze di milioni di cittadini esasperati.

Un uomo disperato come tanti, che si dirige verso il palazzo del potere, con una pistola in mano, cercando di arrivare a qualcuno di quei “politici”, di quegli uomini responsabili, secondo lui e secondo molti milioni di italiani, della rovina di questo Paese.

Prendo a prestito il lucido ragionamento dell’amico Fausto. Il concetto è semplice: l’assunzione di responsabilità e l’assunzione del rischio derivante dalle proprie azioni, dal proprio lavoro, dalla propria impresa.

Qui c’è un uomo che decide, assumendosi le proprie responsabilità e un grande rischio di andare a sparare ai componenti di quello Stato che secondo lui sono alla portata della sua mano armata. Ricorda il personaggio del concept album di Fabrizio De Andrè, “Storia di un impiegato”. Si arma e va a sparare “ai politici”. Sa che è un reato. Si assume la responsabilità di farlo. Come il personaggio del disco di De Andrè, non riesce nel suo intento, ma invece di far esplodere un chiosco di giornali ferisce due carabinieri,  parte inconsapevole e non responsabile di quello Stato che toglie tutti i giorni da decenni ai comuni cittadini tutto quello che è necessario per vivere dignitosamente.

Quest’uomo ha voluto colpire lo Stato e le istituzioni in una giornata particolarmente carica di significato. I carabinieri feriti non sono vittime sacrificali né eroi. Anche loro, scegliendo il loro mestiere hanno messo in conto la possibilità di prendersi una pallottola per difendere lo Stato, hanno deciso di assumersi il rischio del proprio lavoro, a difesa di uno Stato che ultimamente è drammaticamente contro i cittadini. In una sordità da parte di chi quei palazzi li abita, che non somiglia all’inconsapevolezza, ma piuttosto all’arroganza, all’incoscienza.

Come un qualunque cittadino  che si assume tutti i giorni il rischio delle proprie azioni quotidiane, del proprio ruolo, quest’uomo ha deciso.  
Gli unici che continuano a non assumersi le loro responsabilità sono quegli invertebrati, quelle “donne” e quegli “uomini” che siedono all’interno di quei palazzi così irraggiungibili e distanti dai cittadini e che non rispondono mai delle loro azioni. Ora dovranno aumentare le scorte, l’unica reazione a questo segnale, “ammucchiati in discesa, a difesa della loro celebrazione”.

Sono solo loro i veri responsabili di tanta disperazione e forse, prima o poi, pagheranno anche loro per le loro azioni. Forse un giorno anche loro decideranno di assumersi le proprie responsabilità di fronte ai cittadini che dovrebbero rappresentare. Sono loro che hanno sulla coscienza (se hanno una coscienza) le vite e le ferite dei due carabinieri colpiti. Che difendevano questi invertebrati.

Il gesto violento di un uomo disperato non è giustificato. Lui è il primo che si è assunto le responsabilità dei suoi atti. E pagherà. E sa che pagherà.

Invece i suoi obiettivi si arroccano, si difendono, e sfuggono, come sempre, le loro responsabilità.

De Andrè cantava così:

“Imputato ascolta,

noi ti abbiamo ascoltato.
Tu non sapevi di avere una coscienza al fosforo
piantata tra l’aorta e l’intenzione,
noi ti abbiamo osservato
dal primo battere del cuore
fino ai ritmi più brevi
dell’ultima emozione
quando uccidevi,
favorendo il potere
i soci vitalizi del potere
ammucchiati in discesa
a difesa
della loro celebrazione.

E se tu la credevi vendetta
il fosforo di guardia
segnalava la tua urgenza di potere
mentre ti emozionavi nel ruolo più eccitante della legge
quello che non protegge
la parte del boia.

Imputato,
il dito più lungo della tua mano
è il medio
quello della mia
è l’indice,
eppure anche tu hai giudicato.

Hai assolto e hai condannato
al di sopra di me,
ma al di sopra di me,
per quello che hai fatto,
per come lo hai rinnovato
il potere ti è grato.

Ascolta
una volta un giudice come me
giudicò chi gli aveva dettato la legge:
prima cambiarono il giudice
e subito dopo
la legge.

Oggi, un giudice come me,
lo chiede al potere se può giudicare.
Tu sei il potere.
Vuoi essere giudicato?
Vuoi essere assolto o condannato?”