diario da Tegucigalpa

 

vecchio
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Io non ci ho capito un cazzo. Sono settimane che continuo a insistere che Città del Messico è surreale, che succedono cose assurde…

Stamattina, due luglio duemilanove, atterro all’aeroporto internazionale di Tegucigalpa, Honduras, un paese produttore di banane e colpi di stato del centroamerica, come ho già avuto modo di spiegare altrove. Vi atterro coi miei due nuovi amici Klaus e Anne, due giornalisti tedeschi cazzutissimi.

Vi giungo alle ore 6.50 ora locale, otto ore indietro rispetto a Roma. Ricordo a quelli più distratti che qui in Honduras si è da poco consumato un colpo di stato militare. Esattamente domenica scorsa. Ed è per questo che mi trovo a calpestare il suolo bananero. Per fare l’inviato speciale. Sempre per gli svizzeri a cui devo raccontare che cazzo succede da questa parte del pianeta.

Ieri sera a San Salvador, nell’hotel megagalattico dove ci hanno parcheggiato per poche ore in attesa che riaprissero gli aeroporti, ho conosciuto un deputato di estrema destra del parlamento hondureño. Io e Anne gli siamo stati molto simpatici. Si è impegnato ad aiutarci come poteva per farci avere una visione della situazione il più possibile completa e rotonda. Noi ben felici. Ci dice che ci farà incontrare Roberto Micheletti (che qui si pronuncia Miceleti), aka Augusto Micheletti, aka Roberto Pinochetti, aka Roberto Goriletti e così via, un ciccione settantenne roseo e rancoroso che tenta da anni di diventare presidente di questa perla delle democrazie, senza successo e che ora si è praticamente autonominato presidente ad interim, facendosi collocare dal vescovo locale un casco di banane a mo di corona.

Dunque noi giungiamo in albergo alle 7.30 ora locale. Le strade della capitale sono trafficate, l’aria è umidiccia e calda. Siamo in Centroamerica, che cazzo!

La città è abbastanza brutta. Ci installiamo. L’albergo costa centocinquanta dollari a notte. Ma noi dobbiamo stare qui. Ci sono tutti i giornalisti. C’è internet. C’è la casa de la presidencia vicino. Insomma. Tocca stare qui. E già i due amici tedeschi dimostrano la loro superiorità teutonica. Dato che la loro ambasciata tedesca ha prenotato l’albergo a due giornalisti tedeschi, hanno una tariffa speciale. Si offrono di fare un magheggio per farmi avere la stessa tariffa. 

Funziona.

Otteniamo la stanza. Ore 8.10 appuntamento nella hall per andare a parlare con il Presidente della Commissione Diritti Umani. Lui appoggia il golpe. 

È un vecchio reazionario di 79 anni che ci dice cose assurde e di una violenza inaudita che racconterò più avanti. 

Nel frattempo al gruppo dei musicanti di Brema si è aggiunto il quarto tedesco. Peter. Un altro surreale che vive e lavora a Buenos Aires. Praticamente ci sono giornalisti da tutto il mondo, inviati dai loro giornali, radio, tivvù, e credo che io sia l’unico italiano nel raggio di centinaia e centinaia di chilometri (se si esclude Roberto Micheletti, che però è solo di origine italiana, e comunque non è giornalista come me, bensì golpista).

Ecco io non capisco come mai in Italia non mi si incula proprio nessuno, e io parto per l’Honduras e ci sono miliardi di giornalisti che mi dicono, cazzo qui sta succedendo una cosa molto importante, e mi vergogno di dire che in Italia nessuno se la incula, che lavoro per la radiotelevisione svizzera (che è come radio uno), e per un giornale online brasiliano. E che mi pago il viaggio da solo. E che sono partito per istinto. E che su Repubblica onlain si continua a parlare diffusamente della febbre suina ma di quello che succede nel nuovo scacchiere internazionale no.

Dopo il vecchio rottinculo dei diritti umani ci dirigiamo nel cuore di una manifestazione anti Micheletti. Sono le ore diecipuntozerozero. E il meglio ha da venire.

(to be continued…)