Sparatoria a Palazzo Chigi: le responsabilità degli invertebrati

Governo+Letta+giuramento+-+NonleggerloUn uomo disperato. Non un “pazzo”, come si affrettano a definirlo, denigrandolo, i giornali asserviti. Un uomo disperato come tanti italiani, che non sanno più cosa fare, all’interno delle regole e delle leggi democratiche, per manifestare la disperazione e l’impotenza e la frustrazione di fronte a una classe dirigente sprezzante delle necessità e delle istanze di milioni di cittadini esasperati.

Un uomo disperato come tanti, che si dirige verso il palazzo del potere, con una pistola in mano, cercando di arrivare a qualcuno di quei “politici”, di quegli uomini responsabili, secondo lui e secondo molti milioni di italiani, della rovina di questo Paese.

Prendo a prestito il lucido ragionamento dell’amico Fausto. Il concetto è semplice: l’assunzione di responsabilità e l’assunzione del rischio derivante dalle proprie azioni, dal proprio lavoro, dalla propria impresa.

Qui c’è un uomo che decide, assumendosi le proprie responsabilità e un grande rischio di andare a sparare ai componenti di quello Stato che secondo lui sono alla portata della sua mano armata. Ricorda il personaggio del concept album di Fabrizio De Andrè, “Storia di un impiegato”. Si arma e va a sparare “ai politici”. Sa che è un reato. Si assume la responsabilità di farlo. Come il personaggio del disco di De Andrè, non riesce nel suo intento, ma invece di far esplodere un chiosco di giornali ferisce due carabinieri,  parte inconsapevole e non responsabile di quello Stato che toglie tutti i giorni da decenni ai comuni cittadini tutto quello che è necessario per vivere dignitosamente.

Quest’uomo ha voluto colpire lo Stato e le istituzioni in una giornata particolarmente carica di significato. I carabinieri feriti non sono vittime sacrificali né eroi. Anche loro, scegliendo il loro mestiere hanno messo in conto la possibilità di prendersi una pallottola per difendere lo Stato, hanno deciso di assumersi il rischio del proprio lavoro, a difesa di uno Stato che ultimamente è drammaticamente contro i cittadini. In una sordità da parte di chi quei palazzi li abita, che non somiglia all’inconsapevolezza, ma piuttosto all’arroganza, all’incoscienza.

Come un qualunque cittadino  che si assume tutti i giorni il rischio delle proprie azioni quotidiane, del proprio ruolo, quest’uomo ha deciso.  
Gli unici che continuano a non assumersi le loro responsabilità sono quegli invertebrati, quelle “donne” e quegli “uomini” che siedono all’interno di quei palazzi così irraggiungibili e distanti dai cittadini e che non rispondono mai delle loro azioni. Ora dovranno aumentare le scorte, l’unica reazione a questo segnale, “ammucchiati in discesa, a difesa della loro celebrazione”.

Sono solo loro i veri responsabili di tanta disperazione e forse, prima o poi, pagheranno anche loro per le loro azioni. Forse un giorno anche loro decideranno di assumersi le proprie responsabilità di fronte ai cittadini che dovrebbero rappresentare. Sono loro che hanno sulla coscienza (se hanno una coscienza) le vite e le ferite dei due carabinieri colpiti. Che difendevano questi invertebrati.

Il gesto violento di un uomo disperato non è giustificato. Lui è il primo che si è assunto le responsabilità dei suoi atti. E pagherà. E sa che pagherà.

Invece i suoi obiettivi si arroccano, si difendono, e sfuggono, come sempre, le loro responsabilità.

De Andrè cantava così:

“Imputato ascolta,

noi ti abbiamo ascoltato.
Tu non sapevi di avere una coscienza al fosforo
piantata tra l’aorta e l’intenzione,
noi ti abbiamo osservato
dal primo battere del cuore
fino ai ritmi più brevi
dell’ultima emozione
quando uccidevi,
favorendo il potere
i soci vitalizi del potere
ammucchiati in discesa
a difesa
della loro celebrazione.

E se tu la credevi vendetta
il fosforo di guardia
segnalava la tua urgenza di potere
mentre ti emozionavi nel ruolo più eccitante della legge
quello che non protegge
la parte del boia.

Imputato,
il dito più lungo della tua mano
è il medio
quello della mia
è l’indice,
eppure anche tu hai giudicato.

Hai assolto e hai condannato
al di sopra di me,
ma al di sopra di me,
per quello che hai fatto,
per come lo hai rinnovato
il potere ti è grato.

Ascolta
una volta un giudice come me
giudicò chi gli aveva dettato la legge:
prima cambiarono il giudice
e subito dopo
la legge.

Oggi, un giudice come me,
lo chiede al potere se può giudicare.
Tu sei il potere.
Vuoi essere giudicato?
Vuoi essere assolto o condannato?”

diario da Città del Messico. benvenuti a sti frocioni

– Pronto buongiorno, chiamo dal Messico, dovrei fare l’esame all’ordine, mi hanno detto luglio, vorrei sapere una data precisa, devo fare il biglietto apposta.

– Ah però no, guardi una data precisa nun glie la posso dare.

– Come? Non ho capito. Scusi, ho fatto domanda sei mesi fa, è l’8 giugno.

– Eh, vabbè però noi gli esami li facciamo settimanalmente. A seconda degli impegni del presidente.

– Non ha capito, io devo comprare il biglietto dell’aereo apposta. Sono 10mila chilometri.

– Ho capito. Senta guardi lei faccia ‘na cosa. Fa sto bijetto, ariva a Roma e quanno ariva a Roma me fa na telefonata e vediamo si se po’ fissà st’appuntamento.

– Che però non è sicuro.

– Ennò. Si magari viene a settembre capace che è più facile. Dica un po’ come se chiama?

– Eulalio. Eulalio Caroddi.

– Eh Eulalio. Bravo. Sta qua.

– Lo so…

– SìSì. Ha fatto domanda a febbraio. È venuto su padre a portare tutti i documenti. Me ricordo. Ecco Guarda Eulà, fai ‘na cosa. Te vieni a Roma, tanto ce dovrai passà ogni tanto da Roma no? Ecco te quando arivi fai ‘na telefonta e vedemo si se po’ fa o no l’esame.

 

Dov’è che volevamo annà noi? dice il futuro dell’Italia… ecco.

Radical Shock. Una storia sinistra. Capitolo dieci. Amores perros

Dieci. Amores perros.

L’intensità dei desideri smuove forze possenti spingendole verso obiettivi d’amore e di conquista. Attenzione: bruciando le polveri con avventatezza si creeranno tensionni, mentre usando l’intuizione troverete più facili vie per avvicinarvi al risultato. PASSIONALI.

La visita onirica di Lauréda mi lascia intontito. Perso. La gastrite mi ha svegliato.
Sono le 7:19. È il caso che mi dia una svegliata.
Vittorio mi guarda con quegli occhioni a palla grandi come tortillas. L’ottuso.
Alle due devo incontrare Tintan. Mi porta alla pelea de perros. Non posso permettermi di arrivarci rincoglionito. Quando mi ricapita un’occasione così?
Dalla finestra arriva la solita cumbia. Mi rompe il cazzo. Prendo il computer. Ci attacco la cassa Bose che Silvia nasconde nell’armadio. Silvia è al lavoro.
Faccio partire uno dei più grandi successi della musica rock/pop italiana. Vaffanculo di Marco Masini.
Questo vi meritate per svegliarmi tutti i giorni con la cumbia, maledetti mangiatacos. Vediamo un po’ chi vince oggi?
Mi caccio sotto la doccia sulle note del grande Masini. Mi devo ripigliare.
Loro: zitti.
Samuele 1 – mangiatacos 0.

La mia colazione: huevos rancheros. Uova all’occhio fritte su una tortilla di mais con salsa piccante di pomodoro. Il cagotto ormai mi accompagna da settimane come un amico sincero. Quindi mangio di tutto senza farmi troppi problemi.
Apro La Jornada, il quotidiano su cui scrive Serapio. Ieri un commando di ottanta paramilitari travestiti da poliziotti federali ha fatto irruzione in un carcere di Zacatecas.
Ottanta persone.
Quindici camionette blindate della con le insegne della polizia federale e un elicottero. Armati di AK-47 e fucili da guerra.
Si sono presentati alle quattro di mattina alle guardie dell’ingresso principale dicendo che dovevano fare un controllo urgente. Le guardie hanno aperto i cancelli dando loro il benvenuto.
I paramilitari, appartenenti al gruppo de Los Zetas, tutti ex militari disertori dei corpi speciali, addestrati dagli americani nella School of the Americas (quella di Fort Benning, Georgia, dove hanno studiato tutti i gruppi paramilitari dell’America latina e i vari dittatori sanguinari, a spese del contribuente statunitense), ora in forza al cartello di narcotrafficanti del Golfo, sono entrati. Senza sparare un solo colpo hanno liberato 53 carcerati legati al Cartello del Golfo e li hanno portati via. Ringraziando e offrendo a tutti i secondini la colazione.
Durata dell’operazione: 35 minuti.
Finisco di mangiare le mie uova.
Scendo in strada. Ho voglia di fare una passeggiata al parco. Per mandare giù le uova e la notizia.
Ho di nuovo voglia di menare.
Me la devo proprio portare appresso dappertutto. Questo paese mi fa incazzare. Siete peggio di noi. La differenza coi radical chic italiani è che i messicani sono più ricchi e più stronzi.
Avete preso il peggio dell’Europa, mischiato col peggio di quello che è rimasto dei vostri imperi aztechi o salcazzo e di nuovo mischiato col peggio dei vostri padroni del nord. Un’abbondante dose di cattolicesimo e via. Bel cocktail del cazzo! Complimenti!
Poi però si incazzano se gli dici che sono terzo mondo. Come i greci che si incazzano se gli dici che sono turchi. Il fatto è che siete terzo mondo. E i greci sono turchi.

***

«Allora? A che punto sei?»
«Sto avanzando. Un po’ a tentoni ma avanzo. Te? Che se dice? Come sta Miss Liceo? Ti porta ancora il rum?»
«Miss Liceo è superata frate. Adesso esco con una diciannovenne con delle tette commoventi.»
«Bene. Come sempre puntiamo sulla testa delle donne.»
«Sempre. Tra un po’ arriva. Devo trovare una scusa per cacciarla di casa prima di mezzanotte. Arrivano i mostri all’una e facciamo nottata di texana.»
«Dille che sta tornando la tua ragazza. Funziona sempre.»
«Già usato. Vabbè me inventerò qualcosa. Una bella diarrea magari.»
«Che stile!»
Il faccione di Giorgio campeggia nella finestra della videoconferenza di skype. Ogni tanto salta la linea. Sto rubando la connessione wireless dal negozio di gelati qui sotto.
«Che ore so da te?»
«L’una.»
«Qua ce stanno i miei vicini filippini che è tutto il pomeriggio che friggono. Dall’odore che arriva a zaffate sono sicuro che stiano friggendo una tonnellata di merda. C’è una puzza orrenda, mortacci loro.»
«Ma come cazzo fai a vivere costantemente con quell’odore?»
«Lascia perde va. C’ho la pazienza di Budda. Me so beccato pure una cazziata da una stronza su facebook oggi pe sto motivo. Secondo lei non posso dire “filippini”. Devo dire “i miei vicini” senza specificarne l’etnia.»
«E perché mai?»
«Perché se no è razzista dire che i miei vicini filippini friggono la merda o i copertoni. E invece non è razzista per niente. È ipocrita non dirlo. Ci sarà un legame tra il fatto che sono filippini e il fatto che la loro cucina puzza.»
«Da antropologo ti posso confermare che la scelta di friggere merda è strettamente legata ad una questione etnica in effetti. È una scelta dirimente, legata alla provenienza, quella di friggere copertoni o merda piuttosto che cucinare un buon minestrone.»
«Appunto! È quello che ho detto a lei. Solo che devo sentirmi rispondere che sono razzista e che dipende dai gusti. Dipende dai gusti!!»
«Il relativismo da autobus dei fricchettoni col senso di colpa occidentale. A proposito di filippini. Lo sapevi qual è il massimo della libidine la prima notte di nozze dei neosposi filippini?»
«Friggere merda?»
«No. Sesso ascellare. Lui si fa fare una pippa con l’ascella di lei.»
«Ma che cazzo dici? Non ha alcun senso sta cosa…»
«Me l’ha detto un’amica di Manila. Poi pare che le donne filippine più so pelose e più so bòne. Vedi come i tratti culturali influiscono in maniera dirimente nella vita e nelle abitudini sessuali e culinarie? Vabbè com’è finita sta storia?»
«È finita che stavolta non glie l’ho fatta passare a quella stronza. Ho calato l’asso. Le ho detto sì, esistono i gusti. A molti piace praticare il felching per esempio.
FELCHING: pratica sessuale (il lemma inglese, coniato -a quanto sembra- negli Stati Uniti negli anni ’70- non trova corrispettivo nella lingua italiana), che consiste nel succhiare il liquido seminale fuoriuscente dall’ano o dalla vagina in seguito all’eiaculazione al loro interno. Solitamente si tratta del liquido seminale della stessa persona che succhia. Sono gusti. gusti demmerda!»
«Hahahahahahahahahahahah. Brutta stronza.»
«L’ho stesa.»
«Maledetta.»
«Parlando di cose futili. Ce l’hai il pezzo? Dalla redazione mi stanno tartassando. Se non glie lo mandi entro domani sei fuori fratello. Ho fatto quello che potevo, ma lo sai che non conto un cazzo.»
«Lo so Giorgio. Non hai mai contato un cazzo. Ci sto provando. Spero di mandarti tutto entro domani.» Tutto cosa? Non ho niente in mano. Posso scrivere un bel pezzo sulle porte in faccia, come sempre. «Tu, piuttosto. La tua storia su Scientology?»
«Avanza. Sto facendo delle scoperte interessanti. Credo che verrà bene. Senti Samuele, dimmi la verità. Non hai un cazzo, vero?»
«Ma la smetti? Invece ho quasi fatto. Vabbè mo te saluto che devo uscire. Vado a una pelea de perros.»
«Ci sentiamo fratè.»
«Salutami la diciannovenne e le sue tette imperiose.»

***

Mentre cammino per arrivare al mio appuntamento si ammucchiano emozioni contrastanti.
Non sta succedendo quello che mi aspettavo. Non è sparito proprio niente “per magia”. Invece nei miei piani arrivando qua sarei stato travolto dall’avventura, dagli eventi, sarei riuscito a entrare dalla finestra del mondo che mi aveva sbattuto la porta in faccia in Italia.
Semplicemente non succede. E io ricomincio a odiare.
Queste strade sfondate, i marciapiedi sfondati, i palazzi sfondati. E quel coglione vestito da pagliaccio che cerca di far ridere i passanti.
Un naso rosso. Un cilindro schiacciato in testa. Baffi arricciati. Pizzetto puntuto. Pantaloni troppo corti tenuti su da tiracche nere. Camicia bianca. Scarpe nere e calze rosse. È decisamente un pagliaccio.
E cammina verso di me. Come un pagliaccio. Deve essere attirato dall’espressione ingrugnita che sicuramente ho sulla faccia in questo momento. Guarda è meglio se te ne stai alla larga amico buffone, che oggi proprio non è giornata.
Invece mi punta.
Che cazzo vuoi, idiota di un pagliaccio?
Lui sorride.
Che cazzo sorridi? Non vedi dove cazzo sei? Dovresti piagne.
Senza rendermene conto lo dico.
«Che cazzo sorridi? Non vedi dove cazzo sei? Dovresti piangere.» Vomito la rabbia. Sono una maschera di rabbia.
La sua risposta è un sorriso ancora più ampio.
Il pagliaccio mi fissa dritto negli occhi.
Sorride e mi fissa.
Dice che il Messico ha bisogno di pagliacci.
Dice che il mondo ha bisogno di pagliacci.
Dice, sai, quando ti succede qualcosa di brutto o di difficile hai due opzioni. O piangi o ridi di te. E piangere rende solo le cose più difficili.
Ma di che cazzo vai farneticando? Ma ti vedi come vai in giro?
Questa città è una giungla, dice il pagliaccio, ma se ti vesti come me, se quando succede qualcosa invece di arrabbiarti regali una risata, nessuno ti aggredisce, nessuno ti fa del male. Quando sei un pagliaccio la tua lotta è dal basso.
Nessuno si sente minacciato.
Nessuno si sente in competizione.
Perché tu ti presenti come il perdente.
La gente ride di te. Tu la fai ridere.
E ride perché vedendo te vede qualcuno che è palesemente uno sconfitto. E le sventure degli altri fanno tanto bene alle nostre.
Invece di farmi stare meglio, idiota a tempo pieno, le tue parole mi lacerano come lame. Chi ti ha chiesto qualcosa?
Ma tu me lo chiedi, dice il pagliaccio.
I tuoi occhi me lo chiedono, dice il pagliaccio.
Far ridere gli altri prendendosi gioco di se stessi è un’arma potentissima.
Il pagliaccio mi svela il suo segreto.
Il suo potere.
La sua gloria.
Io vinco, dice il pagliaccio, perché regalo sorrisi. Perché regalo allegria. Ed è un’allegria che nasce dalla cenere della mia sofferenza.
Io vinco perché sconfiggo la sofferenza e la trasformo in sorrisi. Grazie al mio dolore qualcun altro ride. E le risate degli altri alimentano il mio cuore. E il cuore di un pagliaccio è il nostro naso rosso.
Ci mettiamo il cuore in faccia.
E indica la palla rossa che campeggia su un viso imbiancato.
Sto parlando con uno specchio. Uno specchio con un naso rosso.
Poi il pagliaccio mi abbraccia. Lo lascio fare. Intontito.
È un abbraccio gratis, dice.
Mi fissa di nuovo. Sorride. E se ne va.
Rimango impalato in mezzo alla strada.

***

Tintan è puntuale. Molto insolito per un messicano. Mi passa a prendere alla metro Tepalcates. Sono le 14:06. Siamo ai margini della città, e alle porte di una delle tante urbanizzazioni periferiche del Monstruo, Ciudad Nezahualcóyotl, o più semplicemente Ciudad Neza.
Salgo sul suo suv Chevrolet TrailBlazer LS nero coi vetri oscurati. Spara una luce blu da sotto, che illumina il pezzo di strada sotto la macchina. Anche di giorno. Antonella direbbe che questa macchina denota una necessità di apparire maschio e dominante. A me sembra solo tamarra da morire.
Sono agitato. Non so cosa mi aspetta e il mio amico qui a fianco oggi è silenzioso. Non vedo nessun cane né sul sedile posteriore, né nel portabagagli con la rete di acciaio per dividere i vani dell’auto.
Tintan non ha portato il suo gladiatore.
Percorriamo le arterie della Ciudad Neza a un’andatura sostenuta.
Avenida Lopez Mateos, poi a destra Avenida Pantitlán, fino alla nostra destinazione. Una casa privata. Senza numero civico. La facciata è verde e non ha assolutamente nulla di particolare o degno di nota.
Sono in mezzo alla Colonia Metropolitana Tercera Sección. La calle si chiama Villa Obregon. Ma potrebbe chiamarsi in qualsiasi modo.
Questa zona è fuori dal mondo. E se dovessi rimanere qui senza la mia guida sarebbero davvero cazzi amari.
Tintan parcheggia lungo la strada. Scendiamo in silenzio. Ci sono molte altre macchine sul marciapiede. Mercury degli anni ’80, Chevy, Vochos, Jeep, Mustang. Di ogni tipo.
Il mio accompagnatore suona alla porta verde. Ci apre un ciccione con la maglietta nera. Porta i capelli a spazzola e ha la carnagione molto scura, da indio. Accoglie Tintan con una stretta di mano. Poi mi guarda. Guarda Tintan interrogativo.
«Tutto a posto, Carlitos, il guero è con me.»
«Se lo dici tu. Avanti.»
C’è puzza di cane.
E di sangue.
E di piscio.
E, come sempre in questa città, di olio rancido e mais.
Questa è una casa. Vuota. Ma piena di gente. Ci saranno quaranta persone.
Vedo ragazzi. Vedo uomini di mezza età. Vedo adolescenti. Vedo facce molto brutte. Facce normali. Tutti uomini. Alcuni hanno un coltello. Tutti bevono. Tutti scommettono. Molto denaro.
C’è fumo nell’aria.
Ci sono bottiglie di birra nelle mani.
E sigarette.
In sottofondo: reggaeton.
In primo piano: vociare indistinto e molesto.
Tintan mi precede.
Pensavo che la mia presenza suscitasse un po’ di scalpore. Invece sono tutti concentrati nelle scommesse.
Ci sono soldi nelle mani. Passano di mano in mano.
In fondo al corridoio che sto percorrendo c’è la gran parte della gente. In un patio.
Nel patio c’è un’arena. La vedo tra le schiene degli uomini che ci sono attorno.
Nell’arena c’è sangue.
Ci sono pezzi di cane.
Nell’arena c’è un cane morto.
Sgozzato. In una pozza di sangue suo e dell’avversario. Che ora il suo padrone sta ricucendo. Letteralmente lo cuce.
Le lesioni del vincitore sono brutte da vedere ma a quanto pare non è ridotto così male. Scodinzola. Scodinzola col mozzicone di coda che gli resta.
Due pittbull. Il pitbull è il cane più usato nella pelea.
Ho letto in un articolo che i pitbull terrier sono i cani preferiti per questa attività ludica. Sono forti. Sono veloci. Sono agili. E sopportano bene il dolore.
Sono dei gladiatori.
In questo caso il pitbull morto ha la gola squarciata.
Non è stato abbastanza rapido e agile.
Non è stato abbastanza forte.
Non è stato abbastanza incazzato e alienato.
Non ha odiato abbastanza il suo avversario.
«Samuele, non sei stato abbastanza uomo.»
Il pitbull morto è schiodato perché non è stato abbastanza pitbull. Si vede che l’altro invece sì.
Sempre nell’articolo sulla pelea de perros ho letto che i cani vengono addestrati in modo feroce. Torturati.
Tra le tecniche più comuni c’è quella di far correre i cani attaccandogli addosso grossi copertoni con delle corde, per rinforzarli e aumentare la loro resistenza.
Si insegna al cane a mordere in qualsiasi posizione, gli si fanno mordere copertoni e contemporaneamente lo si colpisce con bastoni chiodati sulle zampe, così attraverso il dolore imparano a stare attenti alle proprie estremità mentre combattono.
I cani vengono addestrati fin da piccoli al combattimento. Si fa aumentare la loro aggressività tenendoli la gran parte del tempo legati e quando li si porta fuori vengono legati a grosse catene che li strozzano, così gli animali si abituano alla fatica e a essere sotto stress.
Lo stress è un elemento fondamentale durante il combattimento. Serve a fargli venire la cazzimma.
L’allenamento è una fortificazione fisica e una debilitazione emotiva.
I cani sono costretti a vivere situazioni di stress e sconfitta per poi essere rinforzati “positivamente” attraverso lo scontro con altri cani più piccoli, che quindi vengono uccisi compulsivamente, o più grandi, con i quali imparano a soffrire.
Mi viene di colpo in mente Gaspare Fradeani.
Gaspare è il cane di una coppia di amici di Ginevra. È un bastardino con problemi di iperattività. E di disciplina. Prima pisciava dappertutto.
Problemi per i quali i suoi padroni, una coppia sana, mi sembrava, hanno deciso di portarlo dallo psichiatra. Lo psichiatra dei cani.
Vedo davanti a me il cadavere di un cane ucciso dai morsi feroci di un suo simile.
Torturati per forgiare il loro carattere.
Vedo Gaspare che si lecca il cazzo tutto il giorno perché lo psichiatra gli ha dato il prozac o non so che altro psicofarmaco, per farlo essere più mansueto e non farlo pisciare in casa.
Ora ha erezioni continue e passa le ore a ciucciarsi l’uccello rosa.
Il pitbull che ho davanti viene bastonato quotidianamente. E costretto a combattimenti che si chiamano matar o morir, uccidere o morire.
Un cane di questi non dura più di 4/5 combattimenti. E se sopravvive viene buttato in strada perché ormai ridotto troppo male.
Gaspare prende psicofarmaci e si lecca il pene in modo compulsivo.
I suoi padroni sono sani.
I padroni di questi cani sono sani.
Oltre ai pitbull le altre razze predilette per i combattimenti sono staffordshire bull terrier, american staffordshire, dogo argentino, fila brasiliano, tosa inu, akita inu, e rottweiler.
Continuo a osservare rapito mentre la gente intorno a me scommette, beve, fuma e parla a voce alta.
Tintan mi raggiunge vicino all’arena. Mi passa una bottiglia di birra. Bevo. È fresca.
«Sembri molto serio Samuele. È come te lo aspettavi?»
«Insomma. È molto cruento. Stavo pensando a un cane di un amico. Sarebbe divertente vederlo fare una pelea.»
«Senti, ti lascio a divertirti per una mezz’ora. Ho un po’ di persone con cui devo parlare. Ti ritrovo qui.»
«Vai tranquillo. Grazie. Non mi muovo.»
Sta per cominciare un’altra pelea. Io finisco la mia birra e ne comincio subito una seconda. L’ambiente comincia a essere nauseante. Deve essere tutto questo sangue. O questo odore di morte.
Sono un po’ confuso. Dove cazzo sono? Chi è questa gente? Sono dei pazzi?
E perché in fondo questo posto mi piace?
Alcuni esperti affermano che il profilo psicologico dei padroni di cani da combattimento è quello di persone psicopatiche, con un forte complesso di inferiorità, cosa che li fa proiettare nel loro cane. Come se loro stessi diventassero forti e temibili.
Lo scontro del cane con un altro cane altrettanto forte dà la misura a entrambi i maschi del coraggio e della competitività.
Questo è Tintan.
Invece le persone che assistono a questi combattimenti sono nella gran parte uomini, adolescenti e adulti, il cui gusto per il sangue denoterebbe diversi disturbi della personalità, generalmente psicopatie più o meno gravi. Assistono a questi eventi per rinforzare la loro virilità e mascolinità, diminuita per qualche motivo nella loro vita.
E questo sono io.
Devo andare a pisciare.

diario da Città del Messico. riso, risaie, me viè da ride.

Oggi c’è un bel sole nel Distrito Federal. l’arietta frizzante mi invoglia a fare passeggiate nei parchi, a sorridere alla vita.

Accendo il computer e con sette ore di ritardo mi metto a sfogliare versioni onlain di giornali patrii. Apro repubblica e vedo in primo piano la foto di un uomo sorridente. Passano le ore, il sito si aggiorna e cambiano le foto dell’uomo che non riconosco. Però esso è sempre (più) sorridente.

Intontito cerco di capire chi è così importante da continuare a essere nella prima pagina di Repubblica per tanto tempo con tante foto, sempre sorridente.

Dice che si tratta di Antonio Iovine, il boss dei Casalesi. ‘O Ninno. Lui se la ride, col suo maglioncino magenta, anche un bell’uomo.

L’arresto è un gran “colpo al cuore al clan dei casalesi” cazzo. Davvero una grande operazione di polizia, la dimostrazione che per questo governo la lotta alla mafia è una priorità assoluta.

L’altro giorno ci stava Roberto Saviano in televisione, per me su iutub, che diceva a Maroni, nel programma piú cazzuto della storia d’Italia, quello che insieme ai compari fabiofazio e michelesantoro e serenadandini rappresentano la libertà di espressione, di informazione, la sinistra, e se li tolgono dalla rai allora vuol dire che siamo un paese piombato nel fascismo e invece se ci stanno allora siamo un paese democratico, e dunque mi accorgo che c’è una polemica in corso tra robertosaviano e robertomaroni. Uno dei due è ministro dell’interno della lega, l’altro è un famoso scrittore che come tutti sanno è il paladino della lotta alla mafia e l’unica voce autorevole e indiscutibile sul tema mafia. Esso è L’ESPERTO.

E insomma, la polemica sorge perché robertosaviano ha detto che i leghisti del nord quelli che trascinano l’economia nazionale, loro volentieri usano il denaro che proviene dalla mafia, dalle mafie. Lo accettano nelle loro imprese, lo fanno entrare nei salotti puliti del nord, della gente onesta, dei celti che non si sporcano le mani.

Questo dice robertosaviano. E fino a prima era soltanto una verità, che da decenni é tale, peró ora che l’ha detta robertosaviano, allora diventa LA VERITÁ maiuscola, e allora robertomaroni, che oltre a essere un musicista di grande livello e leghista é anche il ministro dell’interno, allora robertomaroni si è risentito. C’é andato in puzza, come dicono qui in Messico.

Tutto questo per dire che il giorno dopo di questa polemica su temi di attualità, arrestano un bell’uomo con un elegante maglione magenta. Proprio il giorno dopo. E quest’uomo, conosciuto dagli amici come ‘O Ninno, sorride. Sorride molto.

E allora nella mia mente si fa spazio l’immagine di un altro bell’uomo sorridente. Che indossava una polo Ralph Lauren verde quando lo hanno arrestato a Città del Messico qualche mese fa. Bello, biondo e sorridente in mezzo agli sbirri che lo tengono ammanettato di fronte alle macchine fotegrafiche.

Dammi un sorriso.

Flash.

Dammi senso dello stato.

Flash.

Dammi supponenza.

Flash.

Dammi sprezzo del pericolo.

Flash.

Anche l’uomo in verde ha un soprannome. Gli amici lo conoscono come La Barbie. Lui viene arrestato all’indomani di uno scandalo che colpisce al cuore le istituzioni messicane. Un’altra verità che diventa VERITÁ. Il massacro da parte dei narcos di 72 migranti centroamericani nello stato di Tamaulipas.

Si sa cosa fa il narco, si sa cosa fanno ai migranti ma si preferisce tacere al riguardo, tanto come si preferisce tacere sui soldi che rinfrescano le finanze delle aziende del nord produttivo, marcite dal flusso ricco e costante di denaro mafioso.

E ci si scandalizza. Ci si indigna. E robertosaviano, che continua a dire cose ovvie e continuano a osannarlo o incularselo per questo.

E in questo delirio collettivo gli unici che ridono sono loro, i camorristi, in narcos. Che al momento dell’arresto decidono di rendere pubblica la VERITÁ, renderla evidente. E la verità è che sono loro che hanno in mano le redini delle nostre vite.

Il loro sorriso ci dice “io so’ io, e voi non siete un cazzo”.

diario da Città del Messico. Novità

Certo che stronzo, c’hai piazzato sti du video e da du mesi non scrivi più niente. Ma che scrittore sei? Eh infatti. Che scrittore sono? Uno che certe volte non ha più niente da raccontare. Anche se di cose ne sono successe parecchie in questo paese e nella mia casa.

Vittorio non c’è più. Dopo aver combattuto con una lunga malattia si è spento nella sua casa a Città del Messico. E mi sono trovato all’improvviso solo. Liberato da un peso. Aver sfanculato quel maledetto toro all’inizio era stata una benedizione. Poi ha preso tutto una piega sinistra. Viveva con me dal primo giorno in cui sono arrivato in questo girone dantesco. Dormiva sempre al mio fianco nella sua stupidità senza fine.

Probabilmente non aveva nemmeno dei sentimenti ma in ogni caso la sua espressione ebete e giuliva non era in grado di trasmetterli. Un inutile ammasso di cartapesta senza dignità. Così mi piace ricordarlo.

Ora vivo altrove. In una casa grande e bella. Dove Vittorio non c’è. E non ci sarà.

È cambiato anche che Silvia spicca il volo, toglie le tende. Pure lei kaputt. Torna in Italia, dice, ad affrontare le sue sfide. Brava tesoro. Ora io da chi vado a cena a scrocco? Tutti a pensare a se stessi e a me mi tocca affrontare da solo questo posto. Dove peraltro non si smette mai di divertirsi.

Ora in Italia e un po’ in tutto il mondo ci si ricorda che esiste il narco perché hanno fatto fuori tre gringos a Ciudad Juárez. Tre funzionari del consolato. Ah. stocazzo. allora se ammazzano tre gringos si vede che questi narcos sono proprio dei cattivelli. Allora persino Repubblica cede due delle sue pagine, normalmente dedicate ai risotti o alle sabò e nuove tendenze dell’estate, per assoldare nientepopodimenoche Vittorio Zucconi, quel simpaticone arrognatello che tra le sue mille qualità è esperto di Messico e narcotraffico, dal suo studio incastonato nella casa bianca, che ci spiega come sono cattivelli questi narcos.

Perché invece non servono a un cazzo i più di cinquanta cadaveri decapitati al giorno. Non serve a un cazzo un paese la cui classe politica è completamente in mano alle famiglie del narco. Non serve a un cazzo la violenza delle città del nord, quotidiana, devastante. No, perché nessuno se lo incula il Messico. Però se fai fuori tre gringos allora cazzo ti meriti attenzione.

Ragazzi, ma non c’è bisogno di essere uno psicologo per capire un po’ questo povero messico. È chiaro che sta facendo di tutto per farsi notare! È come quei ragazzini che per farsi notare dalla maestra menano tutti i compagni, per farsi notare da mamma e papà cagano sul tappeto in salotto, per farsi notare dalle ragazze le trattano male. Questo paese è un po’ così. Cerca di farsi notare da tutti voi. E voi non ve lo inculate. Lo fate solo quando fa cose tipo fare fuori tre gringos. Ma siete ingiusti! diobono in Messico sono state fatte fuori quasi ventimila persone. Che cazzo deve fare un paese per farsi notare??

Questo vortice di riflessioni scapestrate mi ha fatto venire fame. Scendo a comprarmi un panino. Perché nella mia nuova casa c’è tutto vicino.

Ora al muro ho appeso una Vergine di Guadalupe, detta Lupita, che mi osserva col suo sguardo benevolo. Dice che è potentissima. Vedremo. A me me basta che se faccia li cazzi sua e non sia ottusa come Vittorio. Pace all’anima sua.

diario da Port au Prince. il ritorno.

Giunge all’ultima puntata il racconto delle mirabolanti avventure haitiane dei quattro moschettieri freelance.

Mentre inviati speciali italiani di grandi testate nazionali vanno a scopare a Santo Domingo coi soldi del giornale, dichiarando al mondo di raccontare l’inferno di Haiti, i vostri reporter preferiti si smazzano per tirare su i soldi del biglietto aereo. Probabilmente abbiamo sbagliato noi. E del resto come si fa a resistere alle puttane ragazzine dominicane? Bisogna capirli questi anziani inviati speciali. È una vita dura, piena di stenti, sempre con la valigia pronta per partire nei luoghi più disgraziati della terra, è ovvio che uno cerchi il conforto e la tenerezza tra le cosce mercenarie di giovani minorenni di qualche paese sottosviluppato.

Ci tocca raccontare queste cose oltre alle vicende di un popolo dimenticato da dio. Anzi. Non è che dio l’abbia dimenticato, come sostiene un signore haitiano con cui mi faccio una chiacchierata. È che qui facciamo il vodoo, la magia nera, e allora dio è arrabbiato e ci punisce. Ma allora cristo, se lo sapete la volete piantare co sta cazzo di magia nera? Dico, che altro deve fare sto dio per dimostrarvi che vi odia?

Gli ultimi giorni è un accalcarsi di tende per l’arrivo di forze fresche delle varie agenzie ONU. Servono menti riposate per affrontare tutti quei briefing. Accorrono inviati speciali da tutto il mondo, dopo ormai una settimana dall’inizio della festa. Tutti in cerca di storie nuove, di angolature diverse, creative, che nessuno ha ancora raccontato.

È tempo di andarmene, di abbandonare la mia casa, il cartone sul pratino, e di tornare al Distrito Federal, con questo magone che comincia a salire, a prendere forma. Perché uno stando lì nel mezzo dell’azione non può permettersi di sentirsi male. C’è l’adrenalina, la tensione, le mille cose da fare, da scrivere. Si è lucidi, razionali, operativi. La merda arriva dopo. Arriva per esempio quando il Principe, ormai a casa, viene a sapere che sua zia è morta, e si rende conto che ognuna delle singole 200 mila vittime era una zia, una mamma, un figlio, per qualcuno. Ognuno di quei cadaveri scomposti e putrefatti era una persona. Ma quando sono così tanti, quando è così diffuso l’orrore non li vedi come cristiani. Li vedi quasi come pezzi del paesaggio.

Lascio questo paese con un nodo in gola. Con il desiderio di restare, per continuare a raccontare una terra senza speranza, vittima delle forze della natura, dell’ottusità di eserciti che cercano di spartirsela mettendosi addosso la bandiera degli aiuti. Non posso restare perché non me lo posso permettere. Perché non ho un giornale che mi paga le troie. Devo rientrare in Messico, scroccando il passaggio di un Cessna che fa avanti e indietro da santo domingo.

Lascio Cutie e il Principe a continuare a scattare foto. Immagini atroci e bellissime, se si può parlare di bellezza qui. La foto più inquietante è quella di una bambina, fatta dal Principe in un ospedale. Invece di essere frantumata, amputata e sofferente, la bambina piange, ma perché è appena nata. La foto di un parto, tra tutti questi morti, ha un effetto straniante. Senti che è bella, è potente, ma non puoi fare a meno di chiederti che cazzo c’entra la vita in questo posto.

E invece c’entra. Questo posto è pieno di vivi. Che forse si meriterebbero un po’ di attenzione pure loro.

Torno a casa e trovo Vittorio. il toro di cartapesta che ancora non ha capito un cazzo di come funziona il mondo. Lo metterò su un cargo per dar da mangiare a qualche haitiano.
Trovo gli amici, che mi chiedono com’è stato. Che mi dicono come si fa a adottare un haitiano. Io non riesco a non rispondere che, beh, è stato da paura, del resto il Caribe è pur sempre il Caribe, una favola.

Per quanto riguarda le adozioni. Ho deciso di adottare due bambine haitiane di vent’anni. Per solidarietà con il popolo fiero dell’isola e anche un po’ coi colleghi inviati speciali. Due piccioni con una fava.

Diario dalla periferia dell’impero. Lacrime e sangue.

Uno cerca di farsi i cazzi suoi. Davvero. Stare a Roma per passare un po’ di giorni nell’amatamadrepatria. Invece poi quel nano è così invasivo.

Ti si ficca in casa pure se non vuoi. Un uomo ha sfasciato in faccia a Berlusconi una statuetta del duomodimilano. Lo sappiamo tutti. E quanti di noi hanno gioito? Siamo tutti dei violenti antidemocratici, perché la violenza va stigmatizzata. Stigmatizzata. È un gesto da censurare. Inaccettabile. Vergognoso per un paese civile. Aberrante. tutte parole pronunciate maiuscole, se ci fate caso. Tutti come un sol’uomo si ergono. “ammucchiati in discesa, a difesa della loro celebrazione”.

La verità è che questa storia della stigmatizzazione della violenza ha un po’ rotto il cazzo. Mentre metà della popolazione di questo paese si rallegra che un pazzo abbia fatto quello che tutti avremmo voluto di fare, i mezzi di comunicazione democratici ci inondano di precetti morali. Gli stessi, a partire dal Berlusconi, che quotidianamente in questo paese violentano, stuprano, sparano, ammazzano, in senso letterale e in senso lato, che schiacciano, fanno soprusi, corrompono, sono corrotti, adesso ci insegnano che la violenza di un uomo che a viso scoperto dà una sveglia, da uomo a uomo, a un pezzo di merda che di questo paese ha fatto carne di porco, è una vigliaccata, va stigmatizzata.

Dice certo in un paese democratico i conflitti non si risolvono a cazzotti e a duomate in faccia. Intanto… ma quale cazzo di paese democratico? E poi il messaggio è oltremodo educativo. Stai in campana, psiconano del cazzo. Non puoi fare sempre come ti pare, perché grazie a dio il mondo è pieno di matti, e se la maggioranza degli italiani sono capre, basta un solo matto.

Parafrasando la meravigliosa Plastilina, ti sei portato a casa centinaia di troie, che avrebbero potuto far brillare tutta la villa di arcore, nascondendosi quintalate di tritolo fra le natiche. Devi stare attento alle cazzate che fai, misterprèsident!

Detto questo, brindiamo. Senza alcun dubbio questo piccolo sfogo del Tartaglia servirà a loro a reprimere ancora di più, gli servirà a continuare a incularci a sangue. Sarà controproducente, inutile, servirà a rendere lo stronzo un martire.

In ogni caso, che bella scena la sua faccia di plastica, per una volta, piena di quello che dovrebbe portare più spesso: lacrime e sangue.

Diario dalla periferia dell’impero. Il colore viola.

Il cinquedicembre tutti in piazza a fare il noberlusconidèi. Tutti viola, dai andiamo, siamo il popolo dei bloggher, siamo il popolo degli internauti, siamo il popolo di féisbuc, siamo il popolo dei viola, presto andiamo tutti a fare la manifestazione per protestare e far sentire la nostra voce e mandare a casa questo branco di corrottimafiosiassassinidisonesti.

In piazza miliardi di persone in una roma fredda. I partiti presenti un po’ defilati. Da una parte. Mi si nota di più se vengo e mi metto da una parte o se non vengo proprio? Allora ci vediamo lì. No non vengo ciao.

Vedi quelli che hai sempre visto alle manifestazioni da quando avevi quattordici anni e ti mettevi la kefiah nei primi novanta.

Hanno scelto il viola perché l’artri colori erano tutti già presi. Io contento perché a me pe ‘na vita m’hanno detto che ero frocio perché me piace er viola e mo sei obbligato a vestirti di viola che fa tanto sinistra, però sinistra nuova. Quella degli internauti.

Allora vai de sciarpetta viola che mi ha regalato ignara la mia amica Juncia salutandomi in Messico e dicendomi torna presto a casa. E io, vedrai che torno che l’Italia è nammerda.

Dunque facce note. Espressioni note. Solo con più anni addosso. E meno voce per gridare “Berlusconipezzodimmerda!”

E poi i punkabbestia con la birra moretti il cane e le micce d’erba accese perennemente anche sotto la pioggia. E i fricchettoni odiosi e sorridenti della murga, che francamente è da quando è nata che ha rotto il cazzo. E i compagni del sud logorroici, prolissi e noiosissimi, e Vecchioni che canta De Gregori.

Però la novità assoluta sono sti famosi internauti. Sono gli stronzetti che hanno organizzato la manifestazione. Sono gli snobbetti che quando noi ci pigliavamo le sveglie, i fumogeni, le manganellate, le denunce, le pallottole, gli insulti, quando noi andavamo a dire a tutti che era tutto sbagliato, che bisognava prendere le piazze, che bisognava ripensare all’idea di sviluppo, di economia, di partecipazione politica, ci dicevano che eravamo dei facinorosi. Erano quelli che andavano a dire, con le loro camicie coi colletti a tre bottoni e i loro accenti milanesi, calabresi, saputelli, che noi eravamo degli estremisti, e come sai gli estremi si toccano.

Che noi no non andiamo a manifestare perché noi le nostre opinioni le esprimiamo con il voto. Che interessarsi del delirio mediatico di massa di questo psiconano del cazzo era robba da communisti. Erano quelli che a vent’anni ti dicevano che la riforma dell’università era giusta, che bisognava lavorare, che in fondo gli anni ottanta sono stati divertentissimiecoloratissimi.

Insomma tutti questi stronzi, che hanno fatto pippa e remato contro e detto che la polizia difende l’ordine pubblico e che carlo giuliani era un violento blècblòc erano in piazza a manifestare vestiti col mio colore preferito a gridare berlusconivàttene a entusiasmarsi per le stronze canzoni di Vecchioni e a definirsi il popolo più bello e colorato e divertente e la migliore manifestazione popolare degli ultimi centocinquantanni.

Ora. Io mi costringo. Ci provo a dire che meglio tardi che mai. Ci provo a pensare che alla buon’ora. Ci provo a vedere quei sessantenni moderati come dei nuovi compagni di viaggio. A cercare di non pensare alla loro vita moderata e fintatonta che ci ha tagliato le palle, il futuro, il presente, le speranze e ha consentito il dilagare di questa banda di figli di puttana e di questa rovina della politica.

Ci provo davvero forte.

Però alla fine mi rimane un’acidità di stomaco. Mi viene su un rigurgito. Tipico della sinistra radicale. Che ha sempre qualcosa da ridire, che non le va mai bene niente. Che è sempre un po’ autolesionista.

Io sta manifestazione non la sento mia. Arriva molto tardi. Troppo tardi. Troppo gioiosa. Troppo dimentica di tutta la fatica che abbiamo fatto per venire comunque spazzati via.

Berlusconi ha stravinto da molto prima di adesso. Che forse cadrà. Di nuovo grazie alla mafia. Non grazie a voi e al vostro viola. Bellissimo viola.

non è Noi, cari Compagni. Ah già, voi non siete i compagni perché compagno è antico. Voi cosa siete? Dove siete ora? A pagare le rate della vostra rovina, illusi di avere fatto la storia?

Amareggiato preferirei passare delle ore ad accarezzare le corna di Vittorio. Non mi sei mai mancato tanto.

diario da Città del Messico. italiani ammazzati

El Santo VS el Huracán Ramírez
El Santo VS el Huracán Ramírez

Qualche giorno fa è stato ammazzato un italiano a Città del Messico. Su Repubblica esce un pezzo scritto evidentemente da un analfabeta, caratteristica sempre più comune tra i giornalisti (o sedicenti tali) nostrani. Questi i fatti. L’uomo, un sessantenne pensionato ex ferroviere del nord, a giudicare dal cognome veneto, trasferito in Messico da 5 anni, va con sua moglie su un autobus a pranzo da amici nel quartiere di Iztapalapa. Sul pesero c’è un gruppetto di quattro ragazzini quindicenni che pippano la colla. A un certo punto tirano fuori il pezzo e cominciano a rapinare ordinatamente i passeggeri dell’autobus. L’italiano si alza. Si oppone. Grida ai rapinatori che è armato. Per spaventarli. Quelli per tutta risposta gli piantano una pallottola in corpo perforandogli un polmone e lesionando il cuore. L’italiano tira le cuoia.

Il genio che scrive il pezzo su repubblica (tale Claudio Ernè), in un italiano sicuramente innovativo, esalta il coraggio del compatriota sperticandosi in complimenti ed elogi pacchiani, e indignandosi (quanto sono superiori quelli che si INDIGNANO…) con i giovani malavitosi messicani. L’Ernè ci informa che “Probabilmente i ragazzi-assassini erano sotto l’effetto di qualche droga, con buona approssimazione cocaina”. In genere i giovani criminali delle “baby gang” (come dice Ernè) di Città del Messico, con buona  approssimazione pippano la colla o il lucido da scarpe, se gli va di lusso. E non gli frega proprio un cazzo dei gesti eroici.

Ora. Io penso che questo evento, con buona pace del povero signor Furlan, si possa trovare a pagina tre del Manuale illustrato su come farsi sparare in faccia a Città del Messico. Come ti viene in mente, su un pesero a Iztapalapa, un po’ come il Bronx in versione messicana, di alzarti in piedi e reagire a una rapina fatta da regazzini pippati con una pistola? Non sei un eroe. Sei solo un coglione. E la punizione per i coglioni, un po’ a tutte le latitudini, è la morte violenta.

Mentre penso e scrivo queste cose mi sento un po’ colpevole. Dice, allora sei mejo te. Dice, si vabbè, quello ha reagito d’istinto e tu sei uno stronzo cinico senza pietà a dire certe cose. E magari è pure vero. Però quello che mi secca è che ci sia gente che non si rende proprio conto della realtà. Mi INDIGNO, ecco. Non so perché mi rode tanto il culo per questa cosa. Forse perché vorrei che gli italiani nel mondo fossero un po’ tutti come quelli delle barzellette: furbi, scaltri e paraculi. Dove l’italiano vince e con lui vince l’Italia intera. E se uno svizzero ti dice italiano-pizza-spaghetti-mandolino-mamma-losaichec’èèarrivatoilmerendero, tu non arrossire e non abbassare il capo.

Questo mi piacerebbe. Invece c’è gente che ama fare l’eroe in un paese dove agli eroi gli sparano in faccia.

Oggi però, nonostante tutto, sono felice. A causa di un improvviso capovolgimento di fronte della fortuna la mia vita sta prendendo un’ottima piega. Quindi ora esco, prendo un pesero e mi vado a fare una bella passeggiata a Iztapalapa. Così. Per sfidare la fortuna e vedere a che punto arriva. Occhio che sono armato.

p.s. La foto che pubblico oggi non è inerente al post. Sono le gesta del Santo, nel suo epico scontro con Huracán Ramírez.

diario da Città del Messico

schutzstaffel
schutzstaffel

Apro gli occhi sul soffitto bianco rugoso. Notte brava ieri sera: karaoke!

Amo il karaoke. La gente si scatena su una pista tirando fuori il peggio di sé e cantando il peggio della musica mondiale, ovunque ci si trovi. Io sto in Messico, quindi si cantano i capolavori di Luís Miguel, Elvis Crespo, e altri autori di cui è vietato fare il nome su questo blog per la violenta censura che lo governa.

Prima di questo: un concerto su avenida Insurgentes in un locale che si chiama New York. Io e Cachorro a vedere i Plastilina Mosh. Un gruppo di Monterrey, che è la città più ricca del paese, la Milano messicana, comprensiva di stronzaggine milanese. Non ho capito se mi piacciono i Plastilina Mosh. Sicuramente sono un po’ delle scimmie che rifanno troppo il verso a troppa gente, tipo i CafeTacvba. Poi sono di Monterrey. L’ultimo contatto che ho avuto con gente di Monterrey è stato qualche settimana fa.

Sul piccolo velivolo di Aeroméxico che mi avrebbe portato dal DF a Managua mi siedo accanto a un omone con la faccia di cartapesta. Sembra il comandante Adamo di Battlestar Galactica (e se non sapete cos’è Battlestar Galactica, fuori dal mio blog!).

Comincia a attaccare bottone su temi insignificanti. È alto. Indossa vestiti molto costosi, gemelli ai polsini, orologio d’oro. Sarà sulla sessantina e legge il Washington Post.

Sto andando a Managua a parlare col ministro dei trasporti per concordare con lui la possibilità di costruire delle strade in tutto il paese, mi dice.

L’omone è un industriale. Che viaggia in centroamerica contrattato dai governi, per contribuire allo sviluppo di quei paesi. Lui mi parla dei suoi figli, che ha educato con rigore e rettitudine, coi sani valori tradizionali. Mi chiede dell’Honduras. Io rispondo che in democrazia certe cose non si dovrebbero proprio fare, tipo dei colpi di stato militari.

Il regiomontano (che sarebbe come si dice uno che è di Monterrey) mi fissa. Dietro di lui c’è l’oblo con la tendina aperta e un fascio di luce mi acceca. Tu sei molto giovane, mi dice, non sapendo quanto mi stanno sul cazzo quelli che per argomentare le cazzate immonde che stanno per sparare premettono una supposta superiorità dovuta a ragioni anagrafiche. Sei molto giovane e non capisci che non tutti sono pronti per la democrazia.

Ecco. Adesso sorprendimi. E lui lo fa.

Vedi, prosegue il saggio vegliardo miliardario, Adolf Hitler (!!!) diceva una cosa interessante. Magari a te non piace Hitler (ma che ne sai. io lo amo quel figliodiputtana. è il mio mito!) e nemmeno a me, però ha detto delle cose interessanti (probabilmente la maggior parte nel privato della sua cameretta). Diceva che le persone non sono tutte uguali (un modo per dirlo, in effetti), e i migliori sono una minoranza. E la democrazia è il governo della maggioranza, cioè dei peggiori. E quindi la democrazia è una grande ingiustizia perché i migliori, pochi, sono governati dai peggiori, molti.

Lo guardo ammirato senza riuscire a proferire parola. Lui prosegue il suo delirio vaticinando della disciplina nel football americano comparata con l’anarchia nel calcio, ma io ormai ho perso il filo e mi immagino di marciare per le strade di Managua vestito da ufficiale della Schutzstaffel spiegando che purtroppo loro non erano pronti per la democrazia, anzi, il loro prendersela costantemente in culo era un segno della giustizia di dio.

La versione messicana del comandante Adamo mi augura buon viaggio, mi da il suo biglietto da visita e mi offre anche un passaggio sulla sua auto ministeriale. Io declino con garbo e mi tuffo nel caldo orrido di Managua e dei suoi taxi collettivi (perché a Managua se sali su un taxi non è tutto per te. Se il tassinaro riesce a caricarlo di gente diventa tipo un microbus).

Il concerto dei Plastilina Mosh ci rompe il cazzo dopo mezz’ora. Sono autoindulgenti e non hanno nulla di nuovo. Per questo la nostra meta diventa il karaoke, dove scaricare la nostra frustrazione (ognuno c’ha la sua) e dare sfogo ai nostri istinti più bassi. Sempre meglio così che esportando il nazismo in centroamerica.