Radical Shock. Una storia sinistra. Capitolo sette. Salida

Se avete progetti seri, è il momento di deciderne la sorte. Ma prima dovreste allentare l’angoscia per il futuro motivando la profondità e la ponderatezza delle vostre iniziative. E se l’amore rema contro, convincetelo con l’eterna seduzione della parola. PONDERATI.

«Pronto?»
«Ciao Antonella, come va?»
«Bene. Tu? Dov’eri sparito?»
«Mi ero un attimo chiuso. Sai questa storia con Ginevra. Ero in fase autocommiserazione. Ti devo dire una cosa. Ho deciso: io me ne vado in Messico.»
«Finalmente!»
«Come finalmente? E non mi chiedi nemmeno perché?»
«Ma lo so già perché, Samuele. Perché non hai più nulla qui, non hai un lavoro, la tua donna ti ha lasciato e ti senti in gabbia. Tesoro perché devi sempre farmi fare il grillo parlante?»
«Perché mi piace da morire quando mi dici quello che penso. E quando sai già, senza che te lo debba dire, quello che farò e perché.»
«Ci conosciamo da un bel po’ ormai. E per un sacco di tempo abbiamo lavato le mutande insieme… e poi anche tu mi conosci bene.»
«Comunque non ridere, ti sto cercando di dire una cosa drammatica e solenne, cazzo. Non posso buttare sempre tutto in caciara!»
«Ok, ok. Scusa scusa scusa. Dai ricomincia.»
«Allora, ti volevo dire questa cosa. Che ho preso una decisione irrevocabile. Ho deciso che devo partire per il Messico. Devo emigrare.»
«Mmm»

«Voglio fare un’inchiesta giornalistica sulle sette esoteriche. Su questo Percorso per un’Esistenza Migliore, che c’è anche lì. Giorgio mi dovrebbe procurare il contatto nella rivista con cui collabora, Mondo Oggi.
Ho capito che è tempo di nuovi inizi. In fondo è un bene che Ginevra mi abbia lasciato. Devo dirle grazie perché mi sta dando la possibilità di fare quello che voglio veramente. Mi devo dedicare al giornalismo. Tanto qui non ho nulla che mi trattenga.»
«Mi hai convinto. Ora però cerca di mantenere questa decisione il tempo necessario per consentirmi di farti il biglietto. Tanto lo so che se non ti ci metto io su quell’aereo te fai in tempo a innamorarti follemente della prossima della lista e siamo punto e a capo.»
«Farò del mio meglio ma non posso assicurarti niente.»

Ho appena deciso di emigrare. Sono anni che dico che lo farò. Oggi so che stavolta è andata. Sempre che Antonella mi metta su quell’aereo.
Decidere di emigrare a trent’anni in un paese come il Messico può sembrare l’ammissione di una sconfitta.
E in parte lo è. Meglio. È la presa d’atto che non sussistono più le condizioni per una serena sopravvivenza in patria.
La considerazione è abbastanza lineare. Non ho un lavoro, non ho una casa, non ho una donna, non ho un patrimonio, non ho dei figli che mi leghino a questo paese.
Con i pochi soldi che guadagno con articoli e traduzioni, a Roma a stento posso pagarmi le spese se occupo a scrocco una stanza nella casa dei miei genitori.
A Città del Messico ci pago affitto e cibo. E posso trovarmi un lavoro part time. E magari anche scrivere.
La logica è stringente.
Ormai questo discorso l’ho imparato a memoria e lo spiattello in faccia a tutti quelli che mi chiedono se sono pazzo ad andare a vivere in “un paese sudamericano del terzo mondo”.
A parte che una volta per tutte voglio spiegare che il Messico NON è un paese sudamericano, ma è NORD americano. Poi terzo mondo è una categoria che non condivido e per me è priva di significato.
Il fatto è che credo a tutto quello che dico, alle ragioni logiche e convincenti, ma poi quando sto da solo nella mia cameretta guardo in faccia la realtà. Ci sono altri motivi che mi spingono a lasciare questo continente morto per cacciarmi nella pancia del Monstruo.
Il Messico non l’ho scelto a caso. È il luogo dove tutti i reietti, i perdigiorno, i rivoluzionari senza rivoluzione, i perdenti, gli innamorati e i sognatori si sono rifugiati. Città del Messico ha sempre accolto tutti con amore e compassione. E in qualche modo, ognuno a suo modo, tutti quelli che hanno scelto il Distrito Federal, hanno trovato quello che cercavano. La pace interiore. La serenità. La rivoluzione perduta. I sogni.
Sono anni che cerco Città del Messico. Mi chiama.
Ogni fallimento che vivo fa crescere il mio desiderio di lasciarmi cullare nel ventre della Città. È un desiderio di fuga, certo. Ma non di fuga generica. È un desiderio di fuggire verso, non di fuggire da.
Non so se troverò quello che cerco, ma so che devo andare a vedere di persona.
Un altro motivo è che Ginevra mi ha lasciato in ginocchio. Cioè non che quando mi ha lasciato lo ha fatto inginocchiandosi per terra. Ha lasciato me in ginocchio. Faccio lo splendido ma Ginevra mi ha proprio spezzato le gambe. Ha frantumato desideri, ambizioni, sentimenti.
Non è stata la donna che ho amato di più. Quella era Lauréda.
Ma con Ginevra stavo finalmente costruendo. Con Ginevra avrei messo su famiglia. Ci avevo creduto. E nella mia nuova vita non ci deve essere più lei. I suoi amici. Il suo viso in televisione. Il suo mondo di bachelite.
Poi la storia della setta esoterica mi sta mangiando il cervello. Da quando ho saputo che in Messico PEM ha una delle sue sedi più grandi è come se si fosse chiuso un cerchio.
È come quando nei romanzi di Agatha Christie arrivi al punto, più o meno a tre quarti di libro, in cui hai sul piatto quasi tutti gli elementi e devi mettere a posto i pezzi insieme a Poirot o Miss. Marple, per arrivare alla soluzione finale. Ho davanti a me tutti indizi della mia vita che conducono inevitabilmente al Messico. Alla soluzione finale dell’enigma. Lo devo fare. Altrimenti IO MUOIO.
Ora devo sperare solo che la soluzione io la possa scoprire e accettare.

***

Una sera qualsiasi in una Panda rossa. Sotto casa di Giorgio. Sono tre quarti d’ora che parliamo. Mi sta guardando in faccia. Si ferma un attimo. Sguardo assorto. Poi serio. Poi sbotta.
«Comunque sai qual è la cosa più bella di tutte?»
«Nella vita? Scopare?»
«No… idiota. Del Messico.»
«Ah, no. Dimmela.»
«È il canto delle balene. Se ti capita vai in Baja California verso febbraio, quando arrivano a svernare e a partorire le balene dall’Alaska. Se arrivi al mar di Cortés in quel periodo con una tenda ti accampi sulla spiaggia. Il deserto alle spalle e di fronte mamme balene coi loro cuccioli che cantano! È quella la vera pace. Non c’è niente di più bello…»
«…»
«…»
«Ok Giorgio. Ora dovremmo baciarci?»
«Mortacci tua, NOO!!»
«Hai detto una frociata rara! Pareva una scena di un film con Vaporidis. Pensavo che mi volessi baciare…»
«Ok è una frociata. C’hai ragione. Però te lo dovevo dì. È troppo bello.»
«Non c’è niente di male a essere froci. Io ho sempre pensato che tu lo fossi… sei così sensibile…»
«Vaffanculo! Smettila. Non dirlo nemmeno per scherzo! Cristo che schifo! Vabbè buona notte.»

***

Facebook.

13:25Ginevra
vai a prendere il virus per le palle?
13:25Samuele
si
13:25Ginevra
bravo
13:25Samuele
ho fatto già il biglietto. vediamo se è così cazzuto come dicono…
secondo me è mezzo frocio
13:25Ginevra
vediamo
facile
13:27Samuele
stasera credo che non verrò al tuo spettacolo. non mi va di vederti così. sarà un bellissimo spettacolo ma credo che ne farò a meno. grazie per l’invito comunque. se per te va bene lo giro a Fausto. se poi ti va, prima che parto ci salutiamo come due cristiani.
13:28Ginevra
ho letto ieri l’ultimo articolo che hai scritto…
13:28Samuele
🙂
13:28Ginevra
se non l’hai ancora fatto non lo girare a Fausto il biglietto
in realtà era un biglietto inventato
non c’è posto quindi se non vieni tu lo cancello
13:29Samuele
ah
tipo che arrivavo e non era vero un cazzo
era una gag?
faceva ride…
13:29Ginevra
si era vero ma sono in crisi per i biglietti
ce ne sono -32 quindi se non vieni tu alleggerisco
13:30Samuele
mi fa piacere essere d’aiuto
13:30Ginevra
?
13:30Samuele
un motivo in più per non venire
13:31Ginevra
fai come ti pare
per me non aveva senso che tu non lo vedessi
non per me, per lo spettacolo che ti piacerebbe da morì
13:31Samuele
lo so che mi piacerebbe da morì
me lo hanno detto tutti quelli che ce so venuti al primo giro
ma credo che sia meglio così. Credo che non ha alcun senso che io venga.
13:32Ginevra
ok
13:32Samuele
comunque grazie. veramente. l’ho apprezzato molto
13:32Ginevra
ok
13:32Samuele
io parto il 22. se prima ti senti che hai voglia che ci salutiamo il mio numero lo sai. io non ti chiamo.
merda merda per stasera
13:33Ginevra
merda merda!
ti trasferisci?
13:34Samuele

13:34Ginevra
in bocca al lupo Sam.
13:35Samuele
il lupo sono io!
13:35Ginevra
:):)
Non la rivedrò più
(e sputerò sulle vostre tombe!)

***

Rinnovo del passaporto. Selezione accurata dei libri da portare con me (un po’ tipo quali sono i libri che ti porteresti su un’isola deserta…). Questa è dura. Delitto e castigo, Q, La convivialità, i racconti di Philip K. Dick, Ebano di Kapuscinski, Taccuino di un vecchio porco di Hank Bukowski e Cronache mediorientali di Robert Fisk. La mia borsa ora pesa già sette chili solo di carta. Un mucchio sparso di vestiti completa il bagaglio. Computer, macchina fotografica, registratore, quadernini vari, penne. Mutande.
Mia madre mi consegna commossa una latta da tre litri d’olio extra vergine della Sabina che produciamo noi, ogni anno, con fatica, sudore e tanta soddisfazione. È un momento solenne. Racchiude in sé tutto l’amore materno, la preoccupazione per la mia alimentazione sana.
«Chissà cosa mangerai in Messico, poveretto.»
«Mamma, in Messico si mangia benissimo.»
«Sarà… ma non hanno l’olio d’oliva!»
«Mamma, tu hai scoperto l’olio d’oliva negli anni settanta, quando sei venuta a Roma. A Venezia nel dopoguerra usavate il burro, l’olio è una cosa a voi sconosciuta…»
«Va bè, comunque questo è più buono. Te lo devi portare.»
«Certo mamma, grazie.»
Mi abbraccia.
Mia mamma è la mamma di tutti. È la donna che a 70 anni suonati si gira ogni volta che sente una voce di bambino chiamare mamma.
Il suo è l’abbraccio di mamma. Una delle cose da mettere in valigia. Del resto sono un maschio trentenne italiano. Non mi vergogno.
Mio padre è formale e impacciato come sempre quando si tratta di me. Non riesce a nascondere l’emozione che tenta di mascherare dietro a una solennità goffa. Ho imparato a volergli bene.
Mia sorella è divertita e fiduciosa. Anche se ci scanniamo a sangue da sempre, in fondo approva le mie scelte in silenzio. E mi para il culo. In silenzio.
«Molla quei gatti di merda e fai un salto in Messico se ti capita», le dico.
«Vediamo che dice l’oroscopo.»
«Che deve dire? Che è tempo di nuovi inizi!»

Il tiggì uno dice che il Ministero degli Esteri consiglia di non partire per il Messico a causa della violenta esplosione di “febbre suina”. Ad oggi si contano 103 morti (dei quali 21 riconducibili direttamente al virus mutante).
Il nostro inviato a Città del Messico mostra la città fantasma. Le autorità messicane hanno detto di non andare a lavoro. Di non andare allo stadio, a scuola, all’università. La Chiesa ha addirittura sospeso tutte le funzioni religiose a tempo indeterminato per paura dell’epidemia! La Chiesa cattolica!! Hai visto mai che un po’ di disintossicazione da Cristo gli fa bene ai messicani. Sta “febbre suina” è una benedizione.
Le strade di Città del Messico nelle immagini del cameraman della Rai sono deserte. Mi ricordano la scena iniziale di 28 giorni dopo di Danny Boyle.
Ovviamente l’unica volta che decido sul serio di partire, di mollare gli ormeggi, di lanciarmi verso nuove entusiasmanti esperienze, si scatena un’epidemia mortale tipo ebola.
Cazzo non succede mai niente in Messico! Proprio ora che sto facendo il biglietto??
È evidente che sono di fronte a un complotto ordito da forze oscure per impedire la mia partenza (c’entrerà qualcosa l’influsso della madre superiora/batman dell’autobus?). Non vi può essere altra spiegazione. Ma non mi faccio intimidire. Pensano che mi spaventi un po’ di mocciolo e di febbre? “Febbre suina”, non mi fai paura, ti sfonno quando me pare!
La cosa buona è che i biglietti ora costeranno pochissimo, perché tutti, terrorizzati dall’epidemia mortale non vorranno più andare in Messico e io volerò da solo pagando venti euro.
Ovviamente no. Il biglietto costa uguale a prima e quella dell’agenzia mi dice che è tutto pieno. Devo rinviare di qualche giorno.
Ma in che cazzo di paese siamo? Porca troia, il MINISTERO DEGLI ESTERI SCONSIGLIA DI VIAGGIARE IN MESSICO e tutti che fanno? Vanno in Messico? Ma allora siete dei deficienti! Volete tutti morire di febbre suina fulminante? Dall’altra parte del mondo poi… roba che solo per riportare a casa le salme le vostre famiglie dovranno fare i mutui per i prossimi quarant’anni! Irresponsabili!

***

Antonella alla fine mi mette davvero su quell’aereo.
Il volo Lufthansa mi culla. Anche grazie ai quattro bloody mary che mi faccio preparare dalle belle hostess teutoniche. Ho preso questa abitudine, di sfondarmi di bloody mary in aereo, proprio sui molti voli transoceanici che facevo a diciannove anni.
Ogni volta che tornavo in Italia dalla Colombia dovevo sbronzarmi per dimenticare che stavo lasciando l’amore in quel paese. Ero fidanzato con una colombiana. La donna che mi ha reso un uomo. La donna che mi ha fatto capire il mio destino con le donne.
E ubriacarmi in aereo è diventato un rituale al quale non ho nessuna intenzione di rinunciare.
Il film che trasmettono oggi nello schermo incastonato nella testiera del sedile davanti al mio è Mostri contro alieni della Dreamworks.
A me quelli della Dreamworks stanno sulle palle. Shrek non mi è piaciuto. Nessuno dei tre. È un po’ come la questione se sei della Roma o della Lazio. Io non sono uno sportivo. Io tifo. Devo per forza prendere una posizione che esclude l’altra, altrimenti IO MUOIO. E io tifo Pixar. Tutta la vita.
Mentre sto per addormentarmi aiutato dall’alcol ripenso al progetto che voglio portare avanti. Alla mia inchiesta sulle ramificazioni messicane del Percorso per un’Esistenza Migliore, alle sette esoteriche, ai maestri e alla Via.
Mi tiro su il cappuccio della felpa per ripararmi dall’aria condizionata a palla e parto per il mondo dei sogni.

***

L’arrivo all’aeroporto internazionale Benito Juárez è emozionante.
Ho la gastrite.
Dopo una discesa in una cappa marrone di smog si atterra in mezzo ai palazzi. Il più importante scalo messicano si trova in mezzo alla città, quindi i piloti devono stare abbastanza attenti a non scorticare tetti e cornicioni degli edifici circostanti.
Si riempie il naso di caccole di smog. Sono arrivato.
Mi viene a prendere in taxi Serapio. È come Giorgio me lo ha descritto. Faccia ironica da mastino navigato, pizzetto, stempiato, pancia da bevute dure.
Serapio è un editorialista della Jornada, il quotidiano più importante di Città del Messico (se per importante consideriamo il più autorevole, non il più venduto).
«Ciao Samuele. Benvenuto in Messico! Giorgio è un buffone rinunciatario. Però sono contento di conoscerti. Mi ha parlato bene di te. Se sei amico suo sei anche amico mio!»
«Giorgio è un indeciso, non un rinunciatario. Comunque grazie. Magari verrà pure il gigante prima o poi.»
«Hai fatto bene ad andartene dall’Italia. Con quel presidente che vi ritrovate… Almeno qui l’anno prossimo c’è la rivoluzione, sempre che sopravviviamo alla febbre suina…»
I messicani si vantano perché ogni cent’anni hanno mostrato al mondo i denti della rivoluzione.
L’Indipendenza del 1810 dalla corona spagnola ha aperto il secolo di Hidalgo e Morelos, con una rivoluzione che si ricorda ancora il 15 settembre con il famoso grito dal palazzo di governo dello Zócalo di Città del Messico (¡Viva México!).
Nel 1910 la Revolución di Villa e Zapata dava inizio al secolo breve.

Serapio mi porta a mangiare. Tacos.
Siamo in una taqueria nel quartiere della Condesa, pieno di locali alla moda, librerie e sale da tè. Questa zona ha un’aria bohemiénne nella sua versione messicana.
Arrotolo la piccola tortilla di mais con dentro carne fatta a pezzetti, salsa verde e un tocchettino di ananas. La carne cuoce su un’asta verticale, come il kebab. In cima c’è un ananas. I taqueros tagliano la carne dall’alto in basso direttamente nella tortilla e poi con un colpo secco di coltello staccano un pezzetto di ananas che dalla cima precipita in mezzo al taco. Un bell’effetto scenico.
Ci spremo sopra succo di lime. Molto buono. Molto piccante. Annaffio con cerveza Bohemia (la Corona non mi è mai piaciuta, nemmeno in Italia).
«Vacci piano con quel chile, che se no piangi!»
«Hai ragione, ma mi piace piccante. E poi dicono che ha effetti miracolosi contro la gastrite…»
«Chi lo dice? Se mai il contrario… ma fai come vuoi. Invece dimmi. Cosa ti porta qui Samuele? Giorgio mi accennava a un’inchiesta su una qualche setta…»
«Sei uno che va subito al punto eh? Non so cosa mi porti veramente qui. Però sì. Sto prendendo informazioni su una setta che si definisce esoterica. Ha una faccia pubblica new age. Il Maestro è italiano. Faceva l’assicuratore. E ora controlla un’organizzazione internazionale che fattura milioni di euro l’anno, sparsa in molti paesi che continua a fare adepti. E il Messico è il paese in cui il Percorso per un’Esistenza Migliore ha prolificato più rapidamente e in modo più massiccio.»
«Beh, diciamo che non mi sorprende. Qui siamo bravissimi a farci prendere per il culo con questo genere di cose…»
Le macchine ci passano davanti in un traffico lento e annoiato. Stereo a palla che sparano reggaeton. Per un attimo mi immagino i figli di Sevla a Città del Messico. Non mi viene in mente una location più adatta di questa.
«Mi ha detto Giorgio che hai lavorato per l’Agir, quell’agenzia di stampa così filozapatista…»
«La conosci?»
«Conosco il suo direttore. Veniva in Chiapas a fare il compagno quindici anni fa. Si è fatto un pessimo nome.»
«In Italia si spaccia per uno dei più grandi conoscitori di zapatismo…»
«Che ipocrita…»
«Io ho lasciato quel posto, comunque. Qualche anno fa hanno organizzato una manifestazione contro il precariato. Piazza San Giovanni piena di gente incazzata. Sul palco gli intellettuali della sinistra radicale a urlare contro il NEMICO. Torno in redazione e mi rendo conto che non mi pagano da sei mesi, che metà delle persone che lavora con me è in nero e l’altra metà è precaria e che il mio direttore è uno stronzo che non ha mai lavorato un giorno in vita sua.»
«Hanno tutti pochi soldi comunque…»
«Non è vero. Quelli che rimangono sono quelli che possono permettersi di farlo. I mantenuti. Quelli che hanno un cognome importante. Poi il tuo amico direttore ci ha detto che dovevamo chiedere un prestito alla banca per farci dare l’anticipo sullo stipendio. Secondo lui dovevo pagare gli interessi sul mio stipendio!»
«Lui è comunista, vero?»
«Direi che lui è una merda, piuttosto!»
«Finisci i tuoi tacos che così possiamo andare a bere qualcosa di più serio.»
Le conseguenze delle proprie azioni. VI.

Il taxi mi lascia di fronte alla libreria. Pago ventisette pesos. Scendo. L’aria è tiepida e sento profumo di fiori. Nella città più inquinata del mondo.
Mi accendo una sigaretta. Qui non si trova il tabacco Old Holborne. Il poco che ho portato dall’Italia è per i momenti speciali. Quindi mi devo adattare a quello che c’è.
Fumo Delicados ovaloides.
Sono le quattro del pomeriggio. Sono stordito. Il tabacco mi fa stare meglio.
Fumare mi aiuta a pensare. E a rilassarmi.
Perché sono così ossessionato dalle sette e dalle loro dinamiche?
In fondo gli adepti ricevono un miglioramento della vita dalle pratiche dettate dai maestri.
Sono persone che hanno bisogno di trovare una figura carismatica che li comandi a bacchetta. Che dia delle risposte semplici. Risolutive, come tutte le religioni, in fondo. E che dia delle direttive da seguire senza discutere. È rassicurante.
Cos’è che mi disturba tanto allora, nel fatto che qualcuno possa annullare sé stesso per eseguire gli ordini di un Maestro?
Forse è perché non sono abbastanza narcisista da pensare che si possa essere adorati da propri simili? Oppure mi fa rosicare il fatto che esista qualcuno che si arricchisce truffando la gente senza fare il minimo sforzo? La mia è invidia? Non lo ammetterò mai. Il retaggio cattolico che mi mangia il cervello.
Mi piace pensare che il problema sia collettivo. Che è inaccettabile una delega così totale di responsabilità. Il bisogno di mettersi al fianco di una figura carismatica per non prendere delle decisioni, per farsi dire sempre con CERTEZZA cosa è giusto e cosa è sbagliato, per rimanere per sempre adolescenti.
È la vicinanza al carisma.
Il carisma è una cosa semi divina che attrae la gente che si fa attrarre. E ha un ché di potentemente naturale.
Chi ha il carisma sembra che non possa fare altro che il leader ma chi non ha il carisma, stando vicino al carismatico…beh, splende di luce riflessa. Ed è disposto a fare qualsiasi cosa. A occhi chiusi.
Si sente meglio di chi sta lontano dal carismatico. Solo per questo è già superiore agli altri e ha risolto il problema. Per cui si torna alla questione del riconoscimento sociale, che al di fuori della setta non avresti.
Ti sottometti ad un leader, ma attraverso di lui puoi sottomettere almeno simbolicamente altri, perché stai dentro una struttura piramidale che però ha una certa mobilità interna. Anche fratricida.
Finisco la sigaretta. La schiaccio con la punta del piede destro. Entro. Vago a caso tra gli scaffali.
Mi sento più calmo.

Radical Shock. Una storia sinistra. [su Carmillaonline.com]

Alla Causa! (e all’Effetto)
Alle donne della mia vita

Commensalismo
Relazione simbiotica tra due specie in cui una delle due risulta beneficiata, senza danneggiare né beneficiare l’altra.
Mutualità
Relazione simbiotica tra due specie nella quale entrambe vengono beneficiate.
Parassitismo
Relazione simbiotica tra due specie in cui una risulta beneficiata e l’altra danneggiata.
Simbiosi
Rapporto di associazione permanente tra due organismi di specie diverse, in cui almeno uno dei due ottiene un beneficio (mutualità), un danno (parassitismo) o rimane indifferente (commensalismo).
(Enciclopedia Britannica per ragazzi)

«Nutro una morbosa attrazione nei confronti delle donne disperate; mi lascio commuovere dalle loro disgrazie e finisco per schierarmi dalla loro parte.»
«Dalla parte delle donne?»
«No. Delle loro disgrazie…»

(Jaime Avilés)

«Occorre essere attenti per essere padroni di se stessi»
(Consorzio Suonatori Indipendenti)

Capitolo Uno. Oroscopo.

La mia finestra si apre sul cimitero del Verano.
Sotto di me il traffico si è svegliato rabbioso dall’alba.
C’è puzza di asfalto bagnato. E afa.
Si prospetta una giornata di sudore appiccicaticcio addosso.
Un posacenere stracolmo di mozziconi e la bottiglia vuota di chinotto mi ricordano la mia nottata.
Otto puntate di fila di Lost. Occhi rossi, senso di colpa strisciante. Mi viene da vomitare, come ogni mattina.
Prendete tempo per realizzare i progetti importanti e intanto cercate di convincere non solo con la razionalità ma anche con il buon senso e la percettività. Dinamici ed eclettici, saprete conquistare l’amore e la fortuna nell’attimo fugace del presente. DECISI.
Le stelle sono favorevoli.
Secondo Pina Catulli, astrologa del mio settimanale femminile di riferimento, ci sono ottimi segnali che tutto vada per il verso giusto. E io le credo.
Le devo credere perché da qualche settimana l’oroscopo delle riviste più rassicuranti è diventato il mio unico e incrollabile appiglio per non venire risucchiato dallo sconforto.
Ho bisogno di sentirmi dire che “è tempo di inizi”, esigo che quando i miei amici mi parlano usino termini estremi come “dinamico”, “percettività” o che facciano riferimento a situazioni idilliache come “rapporti densi di significato”. Sento il bisogno di credere che “l’amore coniuga mente e cuore” e pensare a “nuove love-story, in un crescendo ROSSINIANO”!!

Sono il figlio degli anni ’80. Ieri mio padre mi ha telefonato:
«Senti, comunque ti volevo dire due cose. La prima è che tua sorella ti cerca perché ha bisogno che la aiuti a montare la nuova libreria di Ikea…
Oh, poi ti ricordi quando da bambino volevi qualcosa e te la compravamo e ti abbiamo convinto che tutto è a alla tua portata e che nessun obiettivo ti è precluso? Che potevi realizzare qualsiasi sogno, che sei una persona speciale? Beh, non era vero un cazzo! Buona vita!»

Oggi ho quasi 30 anni. Sono un precario della vita. Sono precario da quando ho memoria. L’idea di un contratto a tempo indeterminato mi fa venire la psoriasi e le crisi di panico.
Da quando la mia ultima donna ha deciso di non voler più avere a che fare con me perché non mi stimava più, ho cominciato a pensare che forse per tutto questo tempo mi sono un po’ sopravvalutato.
Ma non con l’atteggiamento della vittima, di quello che si dice «beh allora non valgo un cazzo» ma poi sotto sotto pensa «in realtà sono un genio incompreso e amo sentirmi dire che sono fantastico».
No. È che proprio mi sopravvaluto.
La mia socializzazione primaria, nei ruggenti anni ’80 mi ha fatto sviluppare delle aspettative su me stesso che l’andazzo degli anni ’90 avrebbe dovuto già smorzare.
Invece cieco e sordo ai segnali che le stelle inviavano a me e a quelli come me ho deciso, arrogante, di rilanciare e sognare. Di considerarmi un eletto destinato a lasciare il segno.
Io sono il migliore.
E tutta questa presunzione mi ha accompagnato nella mia crescita malsana.
Mi immagino a volte, quando lascio vagare la mia mente dopo ore di alcol e serie televisive, prima di addormentarmi, il mio destino personificato in un nano sadico che alimenta le mie illusioni. Poi si nasconde dietro gli angoli della vita con una mazza in mano e mi vede arrivare e se la ride.
E pensa, sganasciandosi «Oddio che risate appena gira l’angolo e me lo inculo! Chissà che faccia che farà.»
E regolarmente giro gli angoli e il nano mi incula e ride. Ma io imperterrito continuo a illudermi che legnate e fallimenti siano solo delle prove che la vita mi ha messo davanti per farmi crescere ancora più luminoso e vincente, quando non sono altro che ripetute conferme di un destino feroce e incattivito.
E il nano poi piano piano si trasforma, rivela la sua vera faccia: è un sessantenne. La generazione dei nostri genitori ci ha inculato e continua a incularci.
Ha scavato la fossa dove ora noi, in un mare di merda, sguazziamo.
Ci hanno abituato a un mondo che per noi era eterno e che invece è durato meno di due decenni. Un mondo dove tutto era possibile, dove tutti avevano la possibilità di essere speciali, dove saremmo stati tutti dei numeri uno!
E oggi ci dicono che è colpa nostra. È colpa nostra non esserci ribellati quando avevamo 6 anni.
Avrei dovuto fare lo sciopero dei giocattoli.
Avrei dovuto dire ai miei genitori di smetterla, che mi stavano costruendo con lima e scalpello il grosso tronco che oggi ho nel culo.
E io inizio a preoccuparmi di queste cose ora. Con un ritardo drammatico!
Ho sempre mentito a me e agli altri. Non sono un eletto. E la mia vita non è affatto luminosa.
Mi consolo perché me ne sono accorto relativamente presto, mentre tutti gli altri ancora sperano di realizzare il loro sogno di bambini degli anni ’80. Io ora so. E vivo meglio.
Ho trovato i miei punti fermi nelle immagini rassicuranti del paradosso. Negli oroscopi. Dei tiepidi consigli assennati color pastello. Non li disprezzo più. Chi li scrive anche se non sembra, sta facendo del bene. Illude mandrie di uomini e donne senza speranza. Alimenta illusioni basate sul nulla, ma mantiene viva una speranza ovattata.
La verità è che la gran parte di noi è condannata alla mediocrità ma è stata socializzata al successo.
Mi preoccupo ma in fondo non faccio nulla. Striscio nella vita perché così facendo è difficile cadere.
Dice: «Strisci così non cadi.»
«Eh però cazzo passo la vita a strisciare!»

Entra nella mia stanza Antonella, la mia coinquilina. Metto in pausa la puntata di Dexter. Mi giro una sigaretta mentre lei si siede sul letto.
Io nella mia poltrona nera da direttore di banca attendo le sue parole. Ha qualcosa da dirmi ed è sicuramente qualcosa di interessante. Antonella riesce a sorprendermi sempre.
È una delle poche persone che mi fa sentire sempre un passo indietro a lei. La adoro.
«Da una recente ricerca americana è emerso che le donne che hanno visto molte volte film come Pretty Woman, Ghost, Notting Hill, Dirty Dancing e via dicendo, in genere hanno rapporti sentimentali più disastrosi.» Ha la voce acuta, da saputella. Ma la sua espressione è così gioviale che riesce solo a risultare più simpatica. E più convincente.
Antonella continua: «Praticamente hanno in testa un ideale di uomo e di coppia che non esiste e continuano a distruggere i rapporti che hanno perché non sono mai uguali al loro paradigma.»
«Anto, tu sei un genio!»
Sorride soddisfatta e mi guarda dall’alto del suo metro e sessanta scarso. Sembra un manga. Ha due treccine legate da nastrini colorati.
«Sì, in effetti l’ho sempre sospettato, ma non avevo gli elementi per provarlo.»
«Che sei un genio?»
«No, la teoria sui film americani…»
Antonella è una socio-antropologa. Non fa mai affermazioni azzardate senza avere almeno uno straccio di prova per poter ancorare la sua argomentazione. È una macchina!
«Cioè mi stai dando ragione sulla mia teoria basata sul nulla, sulle donne e quello che si aspettano da noi uomini?? E per di più con un SOLIDISSIMO STUDIO AMERICANO!?»
«Sì. Perciò goditi questo momento. Girami una sigaretta e versami un bicchiere di chinotto. Please.»
Eseguo soddisfatto.

***

Mi chiama Fausto.
«Senti Samuele, stasera siamo imbucati a una festa a San Paolo, ti va?»
«No grazie, davvero, preferisco starmene a casa, vedere qualche puntata di OZ o di Lost… magari un’altra volta.»
«Sei un fallito, sono mesi che stai chiuso in casa tutte le sere a bere e a vederti le serie televisive. Mi fai schifo. Passo a prenderti tra venti minuti. Vestiti che lo so che stai in pigiama».
Fausto mi passa a prendere 18 minuti dopo con la sua solita espressione divertita sul viso. So che sto facendo una cazzata. So che quello di cui ho bisogno in realtà è spararmi sei ore di serie televisive senza sosta, fino a quando, stremato, sento i primi autobus passare sotto la finestra di casa, il segnale per franare sul letto perennemente sfatto. Ma come tante volte cedo alla mia stronzaggine e vado con lui.
Già dalla festa avrei dovuto capire tante cose. Il cast di una fiction televisiva di successo che si riunisce su una terrazza romana a cantare.
Noi: imbucati.
Personaggi della televisione noti, con le loro vite radical chic.
Noi: due poracci.
Ma non mi sento fuori luogo.
Ho sempre provato attrazione e disgusto per i radical chic romani. Rampolli di una ricca borghesia illuminata, che ha colonizzato tutti gli spazi della cultura, dell’informazione, dell’intrattenimento “di qualità”.
Ci sono cresciuto in mezzo fin da piccolo, senza mai esserne davvero parte. Ho imparato a conoscerli, a sapermi comportare, salvo poi sentire il bisogno di prenderli in giro e rendere visibile la loro follia cattiva e ipocrita.
«Ciao, io sono Margherita. Tu?»
«Ciao, sono Samuele. Piacere. Che bella festa.» Margherita è roscia. Ha un bel sorriso. «Tu che fai?»
«Io sono aiuto regista.»
«Pensa… che lavoro interessante.»
Poi mi viene presentato un maschio trentacinquenne. Probabilmente lui appartiene alla casta degli “autori”. Si vede dallo sguardo di sufficienza e dalla presunzione che emana.

«E insomma che fai nella vita?»
«Beh, è difficile da dire… in questo periodo lavoro con i rifiuti e con i rom. Che poi pure loro li trattano tutti come rifiuti… Studio l’economia popolare legata al riuso…»
«Davvero?? Che interessante!!» Sguardo vuoto, chiede pietà. Non vuole veramente sapere di che si tratta.
Osservo lo sguardo stupito, imbarazzato e incuriosito del mio interlocutore mentre gli descrivo il mio improbabile lavoro del momento. È una sensazione impagabile. Per pochi secondi sento un brivido sulla nuca, e trovo un senso alle delusioni e ai lavori paradossali che mi ritrovo a fare.
«Beh, è un lavoro come tanti, ne avrai fatti anche tu di assurdi. No?»
Sguardo fuori campo. «Va beh, cantiamo?»

In questo periodo sto lavorando per un’associazione che si occupa di rifiuti: umani (i rom) e non (l’immondizia vera e propria). Facciamo studi di economia popolare legata al riuso, i cui principali attori in Italia sono gli zingari. Poi c’è un laboratorio che produce oggetti di design e abbigliamento fatti con gli scarti. Non ho un contratto, e negli ultimi otto mesi di lavoro ho guadagnato 800 euro. Il lavoro è molto bello.
Avere a che fare tutto il giorno con rom e rigattieri è entusiasmante. Vedo il mio mondo da una prospettiva ribaltata. A volte faccio il giro dei secchioni dell’immondizia insieme a Humiza, una rom Khorakanè di Roma nord. Smucinare nella monnezza ti fa capire molto di te. È un po’ come guardarsi allo specchio. Uno specchio che puzza parecchio.
È un libro aperto di cui si deve solo imparare la grammatica.
Gli scarti che produciamo fanno un quadro molto preciso di chi siamo.
Ci sono zone della città in cui i rifiuti sono in ottimo stato, oggetti di marca, rivendibili nei mercatini abusivi dei rom come se fossero nuovi.
In altre zone i rifiuti, soprattutto gli ingombranti, hanno più di 30 anni. Merce che diventerà rarità vintage nei negozi dei rigattieri di via dei Coronari, dopo essere passata dai banchetti dei rom, a quelli del mercato di Porta Portese, fino appunto ai negozi ultrachic del centro.
Nel resto del tempo lavoro quando capita come traduttore o correttore di bozze, ma la mia aspirazione vera è il giornalismo.
Da cinque anni faccio il freelance, un modo elegante e straniero per dire precario.
Nella gran parte dei casi scrivo per giornali, riviste o radio “a titolo gratuito”.
Telefonata tipo con un redattore di un settimanale nazionale.
«Salve, mi chiamo Samuele Callegari sono un giornalistafrilenz, ho un reportage da proporre sui paramilitari colombiani.»
«Ah, ottimo. Di che si tratta?»
«Beh, le confessioni di un giovane paramilitare che torna a casa dalla caserma mentre parla con una donna ex guerrigliera che cerca di convincerlo che il suo lavoro è sbagliato e dovrebbe smettere…»
«Mmm»
«…i due viaggiano insieme su un autobus e si parlano in un clima surreale, poiché lui potrebbe arrestarla in qualsiasi momento e lei ha visto ammazzare la sua famiglia dai paramilitari… ho anche le foto».
«Certo, certo… mi sembra interessante. Senti. Sai che qui le collaborazioni sono a titolo gratuito, vero? Diciamo che ti diamo la possibilità di far leggere il tuo articolo su un giornale nazionale. Che te ne pare? Ti può andare bene? Sai, abbiamo poche risorse, la legge sull’editoria, la crisi…»
«Sa, non vorrei offendere, però io ci ho lavorato parecchio su questo pezzo, sono stato in Colombia a spese mie… vorrei provare a piazzarlo meglio.»
«Come vuoi. Questa è l’offerta migliore che riceverai, comunque. In bocca al lupo.»

Da giorni sto chiuso in casa, come mi rinfaccia Fausto.
Il fatto è che il mio lavoro è ricco di soddisfazioni umane e professionali, ma è anche inadatto alla sopravvivenza. E il giornalismo è chiaro che è un hobby che non posso più permettermi.
E ora sono seduto su un terrazzo circondato da attori, registi, autori della tivvù a cantare.
Da qui sopra si vede benissimo il campo rom dove lavoro tutti i giorni. Magari faccio uno squillo al mio amico zingaro, Zoran (detto Zorro) e gli dico di salire con un paio di amici suoi. Magari no.
È proprio qui sotto, vicino alla metro San Paolo, eppure è lontano anni luce dalle persone di questa festa. E da me in questo momento.
«Hai visto che abbiamo fatto bene a venire? Ti stai divertendo» mi dice Fausto.
«Beh, non c’è male. È pieno di gente famosa e spensierata. Proprio quello che volevo.»
«La fai finita di lamentarti sempre e di fare il cacacazzi? Ti credo che poi le donne non ti reggono. Sei sempre così pesante. Fatte ‘na cantata e non rompere i coglioni!»
«Allora lasciami cantare, che è meglio.»
Lasciami cantare, Fausto. Adoro cantare. Ma oltre a piacermi molto ho un problema: sono costretto a imparare a memoria i testi delle canzoni. DEVO farlo. Non tollero l’idea di non sapere le parole. Proprio mi disturba a un livello epidermico non sapere alla perfezione le parole delle canzoni. Mi sento male. E canto qui, in mezzo a sconosciuti, incappucciato per il freddo del terrazzo. È il dieci aprile ma fa freddo.
A fianco a me è seduta Ginevra Mischianti.
La conosco da sempre, anche se lei non conosce me. La televisione fa questo effetto quando sei un telespettatore.
Volevo fare l’amore con te da quando avevo diciotto anni. Mi sei sempre piaciuta. Ora sei qui che canti con me. E mi guardi. Sorridi. Forse. Comunque nella mia testa mi sorridi e io sorrido a te. So che io e te abbiamo un link.
Stiamo vivendo esattamente quel momento che non si riesce mai a definire. Il momento in cui ti rendi conto che la persona che hai di fronte è nella sceneggiatura della tua vita. Lei ancora non lo sa. Non lo sai tu. È assurdo pensarlo ma in fondo è così. Non si scappa. È una sensazione fisica, come un attacco di gastrite. La gastrite è un po’ la mia unità di misura delle cose belle e brutte della vita.
Il nostro primo dialogo è stupendo. Sono le parole delle canzoni che cantiamo. Insieme. Comunichiamo solo con questo. Nessun altro argomento. Solo unione di intenti nel riprodurre al meglio una canzone. Provo godimento vero.
Voglio non conoscerti.
Voglio continuare a godere con te senza sapere che mi farai male. Senza deluderti.
Solo sorridere e cantare.

diario da Città del Messico. i baffoni

Sono passati quattro anni. Quattro anni di pazienza, di tanta frustrazione, di dolore consumato nel privato di case dai muri colorati. Ci sono voluti quattro lunghi anni, in cui il Messico ha perso quasi trentamila dei suoi figli in una guerra al narco (ora guerra al crimine organizzato), che non sembra dare risultati apprezzabili. Sono passati quattro anni che hanno visto vincere l’Italia in un mondiale di calcio e farle fare una figura patetica. Ma dopo tutto questo tempo finalmente l’orgoglioso popolo messicano ha ottenuto lo scalpo di cui aveva bisogno. Perché come tutti sappiamo la vendetta è un piatto che va gustato freddo (gustato?).

Tiziano Ferro è frocio. Ok, dov’è la notizia? No, infatti non c’è nessuna notizia, lo sapevamo tutti da molto tempo. Però ora lui l’ha confessato, è uscito dall’armadio, l’ha dovuto ammettere davanti a tutti. E tu dici, vabbè e sticazzi, il mondo è pieno di froci, mo non è che sei più bravo se ora ti piace il cazzo. A me poi Tiziano Ferro m’è sempre piaciuto, per esempio, non c’era bisogno di essere frocio per avere la stima degli altri.

Comunque il Messico quel giorno si è svegliato con una felicità incontenibile nell’aria, come quando arriva la primavera e tu hai voglia di amar tutti. Tiziano ha ammesso e i  messicani ora godono come pazzi. Non gli era proprio andata giù quella dichiarazione così irrispettosa del nostro cantautore di Latina, quattro anni fa. Si era permesso di prendere in giro l’orgoglioso popolo messicano, affermando che le donne in Messico sono brutte e hanno i baffi. Per anni in questo paese quasi non si è parlato d’altro. Di punto in bianco gli italiani sono diventati tutti stronzi agli occhi dei messicani, perché Tiziano Ferro aveva insultato le loro donne. Che peraltro in molti casi effettivamente sono delle baffone da competizione.

E allora daje de prime pagine di giornali popolari con la foto di Tiziano e il titolo ironico: A Tiziano…Fierro! alludendo al membro maschile (il fierro appunto), nuova passione del cantante che ha deliziato milioni di noi. E poi nelle pagine interne : Confiesa Tiziano Ferro su gusto por bigotones.

Perdio, confessa il tuo gusto per i baffoni, maledetto frocio. Questo nel paese che comunque ha legalizzato il matrimonio tra omosessuali nel Distrito Federal, la capitale coi suoi 25 milioni di abitanti.

È che sono dei rosiconi. La verità è questa. E per la prima volta dopo mesi comincio a sviluppare un astio strano nei confronti di questo paese e dei suoi abitanti. Sarà perché pochi giorni fa ho assistito a un’assurda sparatoria in mezzo alla strada, o perché mi ritrovo a combattere (senza alcuna speranza di avere la meglio, ovviamente) contro la burocrazia malata dell’ufficio immigrazione. Però ultimamente li sopporto sempre meno i messicani. E ora che si accaniscono su Tiziano, perché ha avuto il coraggio di rivendicare la sua preferenza sessuale non riesco più a capire questo paese.

La prima pagina per gioire del fatto che Tiziano Ferro è frocio. Ma con tutte le cose che ci sono da dire, le porcate da smascherare, le ingiustizie a cui opporsi, tu trovi la tua fonte di gioia in questo fatterello. Come con il 15 settembre.

Ecco, a proposito, dato che il Messico è un paese dove lo sport conta, come confermano le valanghe di medaglie olimpiche vinte negli ultimi anni, il Governo Federale (maiuscolo per scherzo) ha organizzato un evento goebbelsiano: il Festival Olimpico Bicentenario (sic).

Tralascio l’insopportabile utilizzo propagandistico della parola “bicentenario”, che quest’anno ha giustificato qualsiasi tipo di nefandezze proposte dalle istituzioni (tra le più corrotte del sistema solare). L’evento consisteva, niente meno che nell’allestire una lunga serie di campi sportivi e piscine per tre giorni lungo il Paseo de la Reforma, una delle arterie principali della cittá, lunga decine di chilometri e che attraversa il centro. Quaranta milioni di dollari per allestire un circo di tre giorni. Volevo andare a vedere come si fa a costruire una piscina per i tuffi sul Paseo de la Reforma, ma siccome i messicani sono gente strana, magari non fanno nessuno sport per tutta la vita (infatti i bambini messicani sono tra i piú obesi della galassia), peró se c’é Michael Phelps che si fa pagare un gettone di presenza di 200mila dollari, allora tutti diventano sportivi e vanno in massa a vedere l’olimpiade bicentenario. Bloccando la cittá.

In questo scenario apocalittico, in cui migliaia di corpi sudati si strusciano per fotografare un campione di nuoto straniero al bordo di una costosissima e squallida piscina montata in mezzo alla strada, si consuma la tragedia di un paese che non sa proprio dove andare, e che quindi preferisce non guardare e farsi drogare con il circo.

Intanto io mi faccio crescere i baffi e cerco di riderci sotto, per non piangerci, per mimetizzarmi tra la folla, eventualmente per rimorchiare, hai visto mai Tiziano Ferro passasse da queste parti.

Solo che pensavo a quanto é inutile farneticare, credere di stare bene quando é inverno e te, togli le tue mani calde, non mi abbracci e mi ripeti che son grande, mi ricordi che rivivo in tante cose…nananana. Case, libri, auto, viaggi, fogli di giornale, che anche se non valgo niente perlomeno a te ti permetto di sognare e se hai voglia, di lasciarti camminare scusa, sai, non ti vorrei mai disturbare ma vuoi dirmi come questo può finire?

Non melo so spiegare

Io

Non me lo so spiegare.

p.s. ha da vení Baffone!!

diario da Città del Messico

schutzstaffel
schutzstaffel

Apro gli occhi sul soffitto bianco rugoso. Notte brava ieri sera: karaoke!

Amo il karaoke. La gente si scatena su una pista tirando fuori il peggio di sé e cantando il peggio della musica mondiale, ovunque ci si trovi. Io sto in Messico, quindi si cantano i capolavori di Luís Miguel, Elvis Crespo, e altri autori di cui è vietato fare il nome su questo blog per la violenta censura che lo governa.

Prima di questo: un concerto su avenida Insurgentes in un locale che si chiama New York. Io e Cachorro a vedere i Plastilina Mosh. Un gruppo di Monterrey, che è la città più ricca del paese, la Milano messicana, comprensiva di stronzaggine milanese. Non ho capito se mi piacciono i Plastilina Mosh. Sicuramente sono un po’ delle scimmie che rifanno troppo il verso a troppa gente, tipo i CafeTacvba. Poi sono di Monterrey. L’ultimo contatto che ho avuto con gente di Monterrey è stato qualche settimana fa.

Sul piccolo velivolo di Aeroméxico che mi avrebbe portato dal DF a Managua mi siedo accanto a un omone con la faccia di cartapesta. Sembra il comandante Adamo di Battlestar Galactica (e se non sapete cos’è Battlestar Galactica, fuori dal mio blog!).

Comincia a attaccare bottone su temi insignificanti. È alto. Indossa vestiti molto costosi, gemelli ai polsini, orologio d’oro. Sarà sulla sessantina e legge il Washington Post.

Sto andando a Managua a parlare col ministro dei trasporti per concordare con lui la possibilità di costruire delle strade in tutto il paese, mi dice.

L’omone è un industriale. Che viaggia in centroamerica contrattato dai governi, per contribuire allo sviluppo di quei paesi. Lui mi parla dei suoi figli, che ha educato con rigore e rettitudine, coi sani valori tradizionali. Mi chiede dell’Honduras. Io rispondo che in democrazia certe cose non si dovrebbero proprio fare, tipo dei colpi di stato militari.

Il regiomontano (che sarebbe come si dice uno che è di Monterrey) mi fissa. Dietro di lui c’è l’oblo con la tendina aperta e un fascio di luce mi acceca. Tu sei molto giovane, mi dice, non sapendo quanto mi stanno sul cazzo quelli che per argomentare le cazzate immonde che stanno per sparare premettono una supposta superiorità dovuta a ragioni anagrafiche. Sei molto giovane e non capisci che non tutti sono pronti per la democrazia.

Ecco. Adesso sorprendimi. E lui lo fa.

Vedi, prosegue il saggio vegliardo miliardario, Adolf Hitler (!!!) diceva una cosa interessante. Magari a te non piace Hitler (ma che ne sai. io lo amo quel figliodiputtana. è il mio mito!) e nemmeno a me, però ha detto delle cose interessanti (probabilmente la maggior parte nel privato della sua cameretta). Diceva che le persone non sono tutte uguali (un modo per dirlo, in effetti), e i migliori sono una minoranza. E la democrazia è il governo della maggioranza, cioè dei peggiori. E quindi la democrazia è una grande ingiustizia perché i migliori, pochi, sono governati dai peggiori, molti.

Lo guardo ammirato senza riuscire a proferire parola. Lui prosegue il suo delirio vaticinando della disciplina nel football americano comparata con l’anarchia nel calcio, ma io ormai ho perso il filo e mi immagino di marciare per le strade di Managua vestito da ufficiale della Schutzstaffel spiegando che purtroppo loro non erano pronti per la democrazia, anzi, il loro prendersela costantemente in culo era un segno della giustizia di dio.

La versione messicana del comandante Adamo mi augura buon viaggio, mi da il suo biglietto da visita e mi offre anche un passaggio sulla sua auto ministeriale. Io declino con garbo e mi tuffo nel caldo orrido di Managua e dei suoi taxi collettivi (perché a Managua se sali su un taxi non è tutto per te. Se il tassinaro riesce a caricarlo di gente diventa tipo un microbus).

Il concerto dei Plastilina Mosh ci rompe il cazzo dopo mezz’ora. Sono autoindulgenti e non hanno nulla di nuovo. Per questo la nostra meta diventa il karaoke, dove scaricare la nostra frustrazione (ognuno c’ha la sua) e dare sfogo ai nostri istinti più bassi. Sempre meglio così che esportando il nazismo in centroamerica.