La grande bellezza. un capolavoro.

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Stufo delle critiche snob alla Grande bellezza mi decido a scriverne, credo che ne valga la pena.

Perché considero il film di Sorrentino un’opera notevole, importantissima:

È un film che non parla di Roma, né dell’Italia. La grande bellezza è Roma e l’Italia. E ciò è visibile con maggiore facilità se si guarda al nostro paese e a Roma da fuori. Si critica a Sorrentino di “voler fare Fellini senza essere Fellini”. Mi sembra una posizione banalizzante e fuorviante. Sorrentino prende Fellini e lo ribalta, lo rigira come un guanto. La grande bellezza sta alla Dolce Vita come un negativo sta a una foto. È come la versione di Immagine degli A Perfect Circle.

Il vuoto italiano si riempie del suo passato. L’italianità degli ultimi decenni si alimenta del proprio passato, incapace di produrre alcunché di originale. Il nostro paese, e Roma in particolare, vivono da decenni sulle vestigia di un passato del quale le attuali generazioni non hanno alcun merito. La grandezza di Roma, così come la grandezza italiana, ci sono arrivate come eredità. E tutto ciò che abbiamo saputo fare, lungi dal proseguire il processo creativo, è stato scopiazzarne alcuni tratti, nemmeno fare un’opera neutra di conservazione, ma attribuire a noi stessi una grandezza che non ci appartiene, in quanto non abbiamo fatto nulla per rifondarla. Per questo siamo così arroganti, così presuntuosi, soprattutto noi romani, soprattutto all’estero. Presuntuosi senza alcuna ragione. Perché non siamo collegati con quella grandezza se non per ragioni anagrafiche.

E questo nel film di Sorrentino è l’elemento spiazzante. Perché anche il film di Sorrentino è arrogante e presuntuoso. In lunghi momenti è autoindulgente, si percepisce esattamente questo, un paese, una città che vivono di luce riflessa (che ormai si sta spegnendo) in modo arrogante, grazie a un passato su cui le generazioni attuali non hanno nessun merito. Il film di Sorrentino non parla di questo, la grande bellezza è questo.

Ma Sorrentino ha l’ironia sufficiente per potersi rendere conto di queste specifiche italiane, romane, e ne sorride, per questo il personaggio di Jep Gambardella è il film, è Roma, è l’italianità, mediocre, fondata sul vuoto di un passato prestigioso, paracula, approfittatrice, arrogante in modo ingiustificato, totalmente autoreferenziale.

Roma è il simbolo di tutto questo, è una città che non è in grado di produrre nulla di nuovo, di realmente creativo, men che meno di rivoluzionario. E lo era già ai tempi della Dolce Vita, ma era un momento florido per il paese, in cui si percepiva una spensieratezza posticcia ma dietro cui ci si poteva illudere. Mentre la Roma di Sorrentino è desolante nella sua decadenza, nella sua ostinazione nel non volersi o nel non potersi osservare. E la grande bellezza è tutto questo.

Persino la critica sciatta, snob, spocchiosa, arrogante e presuntuosa degli italianucci che coprono di improperi Sorrentino è già presente nel film, perché è parte del quadro, è esattamente ciò che siamo.

E da fuori è ciò che vedono gli stranieri di noi. Con quel misto di rispetto per il nostro passato e sfottò per il nostro presente. Come quando si guarda un ragazzino stronzo e coglione figlio di un grande intellettuale, e lo si rispetta perché suo padre è stato un genio.

Oggi i prodotti italiani che ci rappresentano sono la nuova Fiat 500, rivisitazione radical chic di un classico italiano, come osserva acutamente Elisa Battistini l’amaretto Disaronno, più vintage della parola vintage, la Vespa (vedi sopra).

L’immagine che si ha di noi è quella delle nostre piazze, i nostri monumenti, i nostri siti archeologici, la nostra cucina tradizionale, tutte cose su cui noi italiani non abbiamo alcun merito nel presente.

Per questi motivi considero la grande bellezza un film importantissimo, che ci rappresenta in pieno nella nostra decadenza presuntuosa.