diario da Città del Messico. se non ci sono trans e mignotte

Normalmente non mi metto a fare le pulci alla montagna di puttanate che si scrivono con somma ignoranza su questo povero paese già sufficientemente vessato che è il Messico. In genere è anche perché non è rilevante sottolineare la superficialità e la scarsa professionalità di “colleghi” che da comode scrivanie situate in fumose redazioni inventano e viaggiano con la fantasia, contribuendo a rendere l’informazione italiana una barzelletta che in tutto il mondo causa ilarità.

In questo caso ho deciso di dedicare qualche minuto del mio tempo a un personaggio che già in altre occasioni ha dimostrato inettitudine, scarsa professionalità ma che evidentemente gode di un certo riconoscimento da parte di un giornale italiano quale il Corriere della Sera.

Il personaggio in questione si chiama Guido Olimpio. Lui fa l’inviato speciale per il Corsera negli Stati Uniti. Non ho il piacere di conoscerlo personalmente, benché si occupi sporadicamente di pubblicare perle del giornalismo sul Messico. Già mesi fa, in febbraio, il collega e compagno di sventure Fabrizio Lorusso, sulle pagine del suo blog, descriveva con competenza e metodo le minchiate (sempre con affetto Guido!) che il buon Olimpio, con sede a Washington (è come se per parlare di Turchia si chiedesse il parere di un corrispondente in Uzbekistan) continua a pubblicare sul Messico, di cui evidentemente ha un’idea un po’ confusa.

L’ultima perla è il pezzo che il Corsera pubblica su una mattanza avvenuta il 20 settembre scorso a Boca del Río, Veracruz, sotto il monumento de los voladores de Papantla. Il pezzo si intitola Il trans Brigitte e la strage di Veracruz. Narcotraffico o squadroni della morte? con tanto di foto di trans Brigitte con zinne in primo piano.

Quello che immediatamente accende il rancore nei confronti di questa pagina è che per raccontare un paese devastato e in cui accadono cose senza precedenti nella storia moderna, massacri, esecuzioni extragiudiziali (come quella appunto di 35 morti buttati in pieno giorno a Boca del Río), decapitazioni, sequestri di massa, sparizioni, gente fatta a pezzi e attaccata a narcomantas, femminicidi e varie, l’inviato speciale negli USA del Corsera pensa che se non si parla di travestiti e mignotte non si può raccontare la storia. Se non si incasella la realtà in categorie italiche di transessuali e ballerine e bocchinare non è possibile attirare l’attenzione. La sua superficialità dell’analisi è sconcertante, ma del resto per quale diavolo di ragione uno che vive a Washington D.C. dove nessuna casa può essere più alta della Casa Bianca e dove potrebbe parlarmi delle risoluzioni del Congresso, deve avere una qualche minima consapevolezza di ciò che accade da questo lato della frontiera? Solo perché si trova in questo continente allora è affidabile? allora perché un inviato in Montenegro non parla di quello che accade nelle strade di Oslo?

Caro Guido, davvero non ce l’ho con te. Cioè, se la smettessi di scrivere stronzate potremmo pure diventare amici, ti porterei a fare un giro per questo paese, a farti vedere cos’è vivere in uno stato d’eccezione, a farti capire cosa significa fare il giornalista qui. Guido! ti prego fallo per me, fatti sentire, batti un colpo, prendi un aereo che da Washington costa pure poco, viette a fa un giro, nun dà retta a quello che ti chiedono da Milano, scrivi qualcosa di VERO, di UTILE e di ONESTO e non della puttana Brigitte, che non ha alcuna rilevanza tranne che nelle menti putrefatte dei puttanieri e analfabeti italiani che vivono contabilizzando cosa fa l’uccello di Berlusconi. Per favore Guido, diventiamo amici, così posso spiegarti che quando tu chiedi a un esperto americano cosa succede e poi scrivi “Secondo un esperto americano sarebbero almeno sei le formazioni di vigilantes attive nel paese. Alcune sono pagate da commercianti e sindaci. Altre composte da gruppi di cittadini. Altre ancora fanno da schermo agli assassini dei cartelli. Il governo, in difficoltà, ha reagito inviando diverse centinaia di agenti a Veracruz ed ha escluso che vi sia tolleranza per i giustizieri. Il procuratore locale ha invece minimizzato: “Non e’ successo nulla, tutto va bene”. Ma il mistero di Veracruz non e’ stato ancora risolto.” stai facendo un torto al nostro mestiere. Stai riducendo la complessità, non tieni conto della guerra tra Zetas e altri “cartelli”, di come agisce questo gruppo che ha stravolto le regole del gioco, dell’aria che si respira in certe zone del Messico, come ad esempio Veracruz. Guido! non mi spieghi un cazzo, perché io non sento l’odore di quello che mi racconti, sento che hai alzato il telefono e hai cercato un “esperto” di cui non fai nemmeno il nome, che magari vive nel Maine, e gli hai chiesto di pararti quattro cazzate, questo penso Guido, e davvero so che invece non è così perché te sei uno veramente forte!

Se invece si volesse fare un po’ di luce su quello che accade in questo paese, si potrebbe prestare attenzione alla violenza senza precedenti, al clima irrespirabile che si vive, ai rapporti tra gruppi criminali e istituzioni, messicane, statunitensi, in un traffico di dimensioni mostruose, di droga, di persone, di armi, che coinvolge centinaia di attori. che ha causato quasi 50mila morti in meno di 6 anni e migliaia di desaparecidos.

Guido, grazie per ascoltare questo appello accorato perché so che come professionista serio saprai illuminarci con altre perle su questo Mexico tequila sexo y mariguana mariachi baffo nero pancho villa subcomandante marcos viva mexico cancun la cucaracha!

ora che ho finito lo sfogo posso continuare a lavorare. E a cercare di capire e di spiegare che cazzo succede in questo posto.

 

diario da Città del Messico. di nuovo in sella alla Bestia [parte due]

Dov’eravamo rimasti? Ah, che stavamo cavalcando la Bestia insieme a quel gruppo di centroamericani che hanno deciso di andare a essere felici negli USA. Nel frattempo però dall’ultimo post è successa una cosa che mi piacerebbe proprio raccontare. Una di quelle cose raccapriccianti che ormai il Messico ci ha abituato a sentire e a considerare normali. E giusto per aggiungere un pizzico di hardcore (come se ve ne fosse necessità) alla già cruenta storia che stiamo raccontando.
Insomma il fatto è che l’altro giorno apro il giornale e leggo che sono state fatte fuori nove persone ad Acapulco. E fin qui nulla di nuovo. La gag è che di queste nove persone, in particolare uno ha avuto la sorte dalla sua. Lo hanno preso e lo hanno fatto a pezzi. Con il busto e la testa hanno decorato una narcomanta, cioè quello che da noi si chiama uno striscione. Un’altra narcomanta è stata stesa con le gambe e i piedi, mentre una terza veniva accompagnata da braccia e mani. Ognuna posizionata in una zona diversa della Perla del Pacifico, a deliziare il soggiorno di bagnanti e vacanzieri.
L’effetto voluto, pienamente raggiunto dagli autori dell’opera d’arte, era quello di attirare l’attenzione sui messaggi che portavano su di sé i macabri striscioni, e recitava più o meno così: Governatore dello stato di Guerrero, funzionari e sbirri, fatela finita di pigliare soldi dal Cartel Independiente de Acapulco, perché questa è la piazza del Chapo Guzmán. Qui comanda lui. Ecco come finisce chi non ubbidisce.
Ora. Noi abbiamo una storia di un viaggio, di peripezie, di avventure, da raccontare su queste pagine, e non è bene distrarsi troppo, però ho creduto opportuno accennare a questo evento, per dare una pennellata di com’è l’aria da queste parti, per far respirare quest’arietta di mare, friccicarella, perché concentrati sempre sull’italico ombelico, su nani e buffoni, si perde la visione d’insieme.

Ma torniamo di gran carriera sulla Bestia,  che mica ci aspetta a noi e alle nostre cazzate sulla gente squartata, la Bestia. Qua uno ci si squaja al sole anche per ore, ma se ha da partì e te sei sceso un attimo a comprarti una birra o una coca cola, ti attacchi al cazzo. Come è successo a quello che veniva dall’Honduras, che era simpatico, anche se era migrante, e che faceva alla perfezione il verso del cane, cioè abbaiava, e insomma tutti gli dicevano “il cane” e lui scendeva ogni volta che il treno faceva una pisciata, e la faceva pure lui. Ma in una di queste, è rimasto a terra, e noi a ripartire fischiando e sbuffando, e lui abbaiando da sotto. Da solo.

Dunque accomodati sulla cima, ci si fa beffe del caldo orrido che attanaglia la gola. Respirare aria calda di fòn, per ore. La pelle fracica di sudore appiccicosa di grumi di polvere e zella. E stare attenti ai rami. Ecco. I rami. Uno pensa che è il meno, perché a fronte di una possibile aggressione a mano armata (di pistola, di fucile, di machete) un ramo che sarà mai? Purtroppo i rami sono MILIONI, sono solo rami rami rami rami e ancora rami, che sfrecciano contro la tua faccia, le tue spalle, le tue gambe, in qualunque modo tu ti sia accomodato loro ti raggiungono e ti sferzano, ti bastonano, ti sconocchiano. A volte, se sei molto fortunato, ti buttano giù dal treno. Mentre dormi, schiacciato come meglio puoi sulla lamiera, tra corpi sudati, puzzolenti, ammucchiati e doloranti, ti arriva una bastonata in faccia a 40 all’ora. Ti svegli di soprassalto, e se non stai attento te ne arriva un’altra, già pronta a colpire. Questo dura giorni.

Il tempo lo percepisci in modo confuso da qui su. Le ore passano rapide e lente, calde e umide, bagnate, infinite. Dipende dal treno. Il tuo sentire si fa treno. In base a ciò che fa, decide, sente lui, tu percepisci il mondo. Non hai autonomia. E lo senti quando all’improvviso, senza una ragione che tu possa conoscere che non sia il puro arbitrio, il treno rallenta, in mezzo alla sterminata e florida vegetazione, stridono i freni, il caldo aumenta, le zanzare ti assalgono, e ti fermi. Il ritmo lento del pulsare del motore, lo sbuffo di fumo, il fischio pesante dell’arresto della Bestia. E rimani lì. Sospeso. Fuori dal tempo e dalla ragione. In attesa di ciò che segue. Ed è lì che sale piano piano la paura, che prende vigore, che si fa solida. È in questa attesa senza tempo che il panico si fa strada nella tranquillità posticcia che pensavi di aver costruito nelle ore di viaggio, che si apre una breccia nel tuo petto e ti invade come l’acqua nei campi irrigati.

Può succedere di tutto. Il meglio che può capitare è che dopo qualche minuto o qualche ora, la Bestia ricominci pigramente a camminare. Ma questa è una speranza su cui non puoi contare. Potrebbe essersi fermato per far salire qualcuno, perché un albero è caduto sui binari, perché un altro treno deve passare, o di permettere alla polizia federale di fare un’operazione illegale, di rubare tutti i soldi ai migranti. O peggio potrebbe essere che gli Zetas abbiano fermato il treno e che ora stiano per salire, fucili spianati, per sequestrare i migranti.

È questa incertezza che ti ammazza. E il sole ti squaglia il cervello e ti mischia le idee, la percezione, e ti sbatte nel mondo della paura.

Fin qui arriva questa parte del racconto. Perché è faticoso e doloroso.

[つづく…]