Come ti giustifico i 200 militi in Val di Susa

Giusto per far capire il livello di malafede dei quotidiani italiani partendo dalla vergognosa Repubblica.
Questo è un estratto dell’inutilmente lungo e prolisso “comunicato” di Davanzo e Sisi, le “nuove BR” (consultabile qui), in cui nella loro prosa criminale poiché noiosa e illegibile, parlano di molte cose, principalmente di lotta di classe, sistema carcerario e forme di lotta, tra queste uno dei temi è la loro “lucida analisi” sul movimento No Tav.
Da notare la malafede sistematica di Repubblica e tutti i disgustosi quotidiani italiani, che con il loro operato giustificano esplicitamente o implicitamente l’intervento del Viminale che spedisce in Val Susa 200 militi a difendere il territorio democraticamente contro le minacce terroristiche paventate dai due BR detenuti.
Lungi da me sostenere acriticamente le tesi dei due suddetti BR (prima di tutto sarebbe necessario dirimere la matassa illegibile ed ideologica in cui sono aggrovigliate le loro idee. Solo per oltraggio alla lingua italiana dovrebbero essere condannati, come nel film di Nanni Moretti, ad ascoltare forzosamente per ore la lettura delle loro stesse produzioni letterarie. Lo so, ciò è molto crudele).
Ciò che sottolineo è il livello infimo della disinformazione asservita e pecoreccia che impera in Italia. Buona lettura.Image

“E con la consapevolezza che la lotta al carcere e alla repressione è contradditoria rispetto all’approfondimento della lotta rivoluzionaria. Perché se questa avanza (pur nelle sue forme attuali più diffuse, quelle dell’area anarcoinsurrezionalista), la risposta dello Stato sarà sempre (ed è già) maggior repressione. Cosa si fa, allora? Ci si ferma? O peggio, si arretra? Per poter ottenere l’attenuazione di condanne e rigidità carcerarie? Non sono domande astruse, provocatorie… basti pensare alla tragica storia di pentitismo e dissociazione degli anni ’80.
Guardiamo bene proprio il caso NO-TAV – con tutta la valenza “antagonista” assunta, e di portata generale – le ultime misure sono drastiche: militarizzazione aggravata con conseguenti minacce penali, e fino a quella (per ora solo agitata) di imputazione terroristico-eversiva. Ci si trova appunto stretti in quel bivio: compiere un altro salto in avanti, politico-organizzativo, assumendone anche le conseguenze, o arretrare. Perciò apprezziamo molto la generale tenuta militante in sede processuale e, particolarmente, l’atto di revoca degli avvocati di alcuni/e compagni/e. Ciò che crea simpatiche consonanze con la nostra dimensione di prigionieri rivoluzionari e dei nostri processi politici. In questi atti e nei processi di rottura in generale, c’è la fondamentale affermazione della contrapposizione di interessi e logiche (di classe) che perciò nega e fa saltare la presunta neutralità e pretesa di “giustizia” dell’istituzione giudiziaria. Riporta il conflitto e il soggetto politico-sociale pienamente anche in quella sede permettendo, paradossalmente, una risonanza sociale nazionale. La risonanza che sempre i processi politici, combattuti apertamente hanno avuto nella storia. Tant’è che ciò viene a pesare eccome, nel rapporto di forza generale-proprio perché quella lotta, quel movimento acquisisce riconoscimento e schieramento favorevole ampio-talvolta limitando pure la carica repressiva. “