diario da Città del Messico. riso, risaie, me viè da ride.

Oggi c’è un bel sole nel Distrito Federal. l’arietta frizzante mi invoglia a fare passeggiate nei parchi, a sorridere alla vita.

Accendo il computer e con sette ore di ritardo mi metto a sfogliare versioni onlain di giornali patrii. Apro repubblica e vedo in primo piano la foto di un uomo sorridente. Passano le ore, il sito si aggiorna e cambiano le foto dell’uomo che non riconosco. Però esso è sempre (più) sorridente.

Intontito cerco di capire chi è così importante da continuare a essere nella prima pagina di Repubblica per tanto tempo con tante foto, sempre sorridente.

Dice che si tratta di Antonio Iovine, il boss dei Casalesi. ‘O Ninno. Lui se la ride, col suo maglioncino magenta, anche un bell’uomo.

L’arresto è un gran “colpo al cuore al clan dei casalesi” cazzo. Davvero una grande operazione di polizia, la dimostrazione che per questo governo la lotta alla mafia è una priorità assoluta.

L’altro giorno ci stava Roberto Saviano in televisione, per me su iutub, che diceva a Maroni, nel programma piú cazzuto della storia d’Italia, quello che insieme ai compari fabiofazio e michelesantoro e serenadandini rappresentano la libertà di espressione, di informazione, la sinistra, e se li tolgono dalla rai allora vuol dire che siamo un paese piombato nel fascismo e invece se ci stanno allora siamo un paese democratico, e dunque mi accorgo che c’è una polemica in corso tra robertosaviano e robertomaroni. Uno dei due è ministro dell’interno della lega, l’altro è un famoso scrittore che come tutti sanno è il paladino della lotta alla mafia e l’unica voce autorevole e indiscutibile sul tema mafia. Esso è L’ESPERTO.

E insomma, la polemica sorge perché robertosaviano ha detto che i leghisti del nord quelli che trascinano l’economia nazionale, loro volentieri usano il denaro che proviene dalla mafia, dalle mafie. Lo accettano nelle loro imprese, lo fanno entrare nei salotti puliti del nord, della gente onesta, dei celti che non si sporcano le mani.

Questo dice robertosaviano. E fino a prima era soltanto una verità, che da decenni é tale, peró ora che l’ha detta robertosaviano, allora diventa LA VERITÁ maiuscola, e allora robertomaroni, che oltre a essere un musicista di grande livello e leghista é anche il ministro dell’interno, allora robertomaroni si è risentito. C’é andato in puzza, come dicono qui in Messico.

Tutto questo per dire che il giorno dopo di questa polemica su temi di attualità, arrestano un bell’uomo con un elegante maglione magenta. Proprio il giorno dopo. E quest’uomo, conosciuto dagli amici come ‘O Ninno, sorride. Sorride molto.

E allora nella mia mente si fa spazio l’immagine di un altro bell’uomo sorridente. Che indossava una polo Ralph Lauren verde quando lo hanno arrestato a Città del Messico qualche mese fa. Bello, biondo e sorridente in mezzo agli sbirri che lo tengono ammanettato di fronte alle macchine fotegrafiche.

Dammi un sorriso.

Flash.

Dammi senso dello stato.

Flash.

Dammi supponenza.

Flash.

Dammi sprezzo del pericolo.

Flash.

Anche l’uomo in verde ha un soprannome. Gli amici lo conoscono come La Barbie. Lui viene arrestato all’indomani di uno scandalo che colpisce al cuore le istituzioni messicane. Un’altra verità che diventa VERITÁ. Il massacro da parte dei narcos di 72 migranti centroamericani nello stato di Tamaulipas.

Si sa cosa fa il narco, si sa cosa fanno ai migranti ma si preferisce tacere al riguardo, tanto come si preferisce tacere sui soldi che rinfrescano le finanze delle aziende del nord produttivo, marcite dal flusso ricco e costante di denaro mafioso.

E ci si scandalizza. Ci si indigna. E robertosaviano, che continua a dire cose ovvie e continuano a osannarlo o incularselo per questo.

E in questo delirio collettivo gli unici che ridono sono loro, i camorristi, in narcos. Che al momento dell’arresto decidono di rendere pubblica la VERITÁ, renderla evidente. E la verità è che sono loro che hanno in mano le redini delle nostre vite.

Il loro sorriso ci dice “io so’ io, e voi non siete un cazzo”.

diario da Città del Messico. va bene narco, che dobbiamo fare?

È finalmente passato il 15 settembre. Il bicentenario ce lo siamo tolti dalle palle una volta per tutte. Dopo la sfilata militare che è costata al governo più del presupposto per la sanità e l’educazione messi insieme, dopo le bevute colossali che hanno accompagnato i messicani nel loro ponte del 15 settembre, dopo tutto questo, si torna a lavorare.
Si torna a leggere i giornali. Ecco. Apro il Diario di Ciudad Juárez qui e leggo una lettera del direttore. La traduco per chi mi legge. Inizia così:
” Signori delle differenti organizzazioni che si disputano la piazza di Ciudad Juárez: la perdita di due giornalisti di questa casa editoriale in meno di due anni rappresenta un danno irreparabile per tutti quelli che lavorano qui, e, in particolare, per le loro famiglie.
Vi rendiamo noto che siamo comunicatori, non indovini. Pertanto, come lavoratori dell’informazione vogliamo che ci spieghiate cosa volete da noi, cos’è che pretendete che pubblichiamo o smettiamo di pubblicare, per sapere come comportarci.
Voi siete, in questo momento, le autorità de facto in questa città, perché i rappresentanti istituiti legalmente non hanno potuto fare nulla per impedire che i nostri compagni continuino a cadere, nonostante il fatto che noi lo abbiamo richiesto reiteratamente.
È per questo che, a fronte di questa realtà inobiettabile, ci dirigiamo a voi per chiedervi cosa fare, perché l’ultima cosa che vogliamo è che un altro dei nostri colleghi sia vittima dei vostri proiettili”. E poco più avanti (la lettera è abbastanza lunga e appassionata) si legge “Perfino in guerra ci sono regole. E in qualsiasi conflitto esistono protocolli o garanzie nei confronti delle parti in causa, per salvaguardare l’integrità dei giornalisti che se ne occupano. Per questo vi reiteriamo l’invito, signori delle diverse organizzazioni del narcotraffico, a spiegarci cosa volete da noi, per smettere di pagare il tributo di sangue dei nostri compagni”.

Ecco, dicevo che uno qui si alza e legge questo, che è un po’ come se io vivo a Bolzano, per dire, e compro l’Alto Adige, e in prima pagina leggo una lettera del direttore che dice queste cose.

E penso alle immagini dell’arresto di Edgar Valdez Villareal, alias La Barbie, uno dei capi del narco più sanguinari e ricercati, arrestato il 30 agosto nell’Estado de México. Penso al suo volto sorridente, sarcastico. Come uno che non ha nulla da temere, come un ragazzino furbetto che viene messo in castigo dai genitori per aver mangiare di nascosto la nutella, ma che sa che non lo beccheranno mai per aver pestato a sangue tutti i suoi compagnucci.

Rileggo questa lettera aperta e penso ai festeggiamenti dell’altra sera, del 15 settembre, quando centinaia di migliaia di persone ubriache e festanti apprezzavano nel Zocalo Capitalino i meravigliosi fuochi d’artificio e i carri e le meravigliose scenografie della festa del bicentenario. Si festeggia e si grida Viva Messico.

È lo stesso paese in cui c’è un’altra città, la più ricca di tutte, in mezzo a un deserto. Si chiama Monterrey. È tra le città più ricche dell’America latina, è pieno di fabbriche (tutte le birre messicane le fanno qua, per dirne una!) di industrie e industriali, di progresso e modernità. Ecco. Se tu vai all’università più prestigiosa di Monterrey, il Tecnológico di Monterrey, ci trovi tutta la crema della società messicana.

Un giovane amico rugbista che studia ingegneria meccatronica al Tec mi ha raccontato come è composta la fauna studentesca del suo campus. Dice che il 40% degli studenti sono figli o parenti di capi delle famiglie del narco. Essi vanno al Tec, con le guardie del corpo armate, a studiare legge, economia, ingegneria, per amministrare i patrimoni delle loro famiglie. Essi vanno all’università con le mercedes tempestate di diamanti (letteralmente). E a Monterrey il narco è così presente che è meglio che non ci vai a Monterrey.

Allora tornando a questa lettera, a questi racconti, ai festeggiamenti, ti viene voglia di raccontare storie, di far parlare i morti, o quelli che lo saranno presto, perché si sappia cosa succede da queste parti, invece di ubriacarsi a morte e gridare viva México. Ecco, in Italia uno rinuncia a provarci, perché tanto se non parli di fica, di Berlusconi o di vacanze non ti si fila nessuno. Però credo sia necessario testimoniare la deriva di questo paese. Non foss’altro per poter scrivere sulla mia lapide “ve l’avevo detto”.