diario da Città del Messico

Xochimilco
Xochimilco

Un po’ di silenzio per qualche giorno. È che magari uno si prende una pausa. Del resto passare dalle emozionanti avventure golpiste centroamericane alla routine messicana è un po’ come una pizza in faccia (per i lettori non romani una pizza non è in senso stretto. vuol dire schiaffo).

La città mi ha accolto indifferente come fa con tutti. Come se in fondo quello che succede fuori dal Mostro non fosse proprio vero. Come se la vita scorresse solo nelle arterie di cemento che lo attravesano.

In realtà passare dall’azione alla riflessione dovrebbe atterrirmi. Probabilmente accadrà. Ma non so perché fare il precario in Messico e vivere giorno per giorno mette meno ansia che in Italia. Deve essere per gli effetti psicotropi dell’inquinamento atmosferico sulle ghiandole che producono l’ansia. O sarà perché qua è molto più facile pensare a un piano B, tipo fare il taxista o il lavapiatti.

Non scrivo da qualche giorno anche perché ho un po’ paura che dopo il mese di golpe i miei post risultino noiosi e barzotti, senza il vigore del racconto in presa diretta.

Invece inaspettatamente ad aiutarmi a spremere sto limone ci pensa il semprevalido baffone. Stasera è arrivato in Messico il presidente dell’Honduras Mel Zelaya, quello che mi è toccato tallonare per un mese. Invece ora mi segue lui. Gli mancavo, perché. Giunge al messico per parlare con quel paladino della democrazia che si chiama Felipe Caldero. Che pare sia il presidente del Messico. Cioè praticamente è un po’ come se il presidente dell’Albania, cacciato dal suo paese dopo un colpo di stato, venisse a prendere lezioni di democrazia e a farsi difendere da Silvio Berlusconi. È evidente che lo scenario è piuttosto surreale, tanto per fare una cosa nuova.

E i messicani, quelli che seguono le vicende internazionali, quindi principalmente un gruppetto esiguo di “intellettuali” che senza alcun motivo pensano davvero di contare qualcosa nella storia dell’umanità, gongolano per questo riconoscimento.

Io di fronte a questo preferisco andare a passare i miei pomeriggi a bere con gli amici su una chiatta (che qua si chiama trajinera) a Xochimilco. Xochimilco è quella parte di Città del Messico che si sviluppa sull’acqua. Qui una volta, prima che gli spagnoli venissero a tirare fuori questi incivili dalla barbarie, c’era una città sull’acqua. Tenochtitlán si chiamava. Tutta la valle si sviluppava sull’acqua come Venezia degli aztechi. E Xochimilco è quello che resta di questo.

E la gente ci va la domenica. Su delle chiatte con una tavolata al centro. Si porta da beve, da magnà e un gondoliere messicano ti scarrozza in giro. Poi si viene abbordati da altre chiattine (perché quella su cui viaggi te è na chiattona) che ti offrono beni di prima necessità come pannocchie arroste (elote), mele caramellate, patatine, bibite, tricchettracche e bombe a mano. Oh, poi c’è la chiatta dei mariachi, che ti insegue nei meandri più reconditi della laguna e sbuca all’improvviso cantando cielito lindo.

Tutto molto bello e colorato. E tanto per cambiare se beve per interminabili ore.

Poi c’è unisoletta dove un pazzo 40 anni fa ha deciso di cominciare ad appendere agli alberi bambole e pupazzi di ogni tipo. E ora sono migliaia. Macabro monito alle sirene, ai fantasmi e ai mostri di ogni tipo che popolano la laguna di Xochimilco. Il vecchio pazzo ha addobbato tutti i pertugi dell’isoletta perché sentiva tutte le notti la voce del fantasma di una giovine morta li vicino anni prima.

Dopo un mese ho rivisto Vittorio, il toro di cartapesta che dorme con me. Ha fatto finta di non riconoscermi. Si è sentito abbandonato. Ha provato a farmi sentire in colpa. Per punizione l’ho chiuso due giorni al buio in uno stanzino. Mi sta crescendo il pelo sullo stomaco e questi atteggiamenti stucchevoli non li reggo più.